Su Hoffman, su Saramago e sulla morte ladra dell'Arte del condizionale, con la l

Creato il 18 febbraio 2014 da Giuseppe Armellini
Stamattina pensavo che in soli 3 anni e mezzo se ne sono andati i miei due punti di riferimento (idoli? naaah,
non mi piace) nelle due arti che hanno accompagnato tutta la mia vita, almeno a partire dagli 8 anni.
Ovviamente sto parlando di Philip Seymour Hoffman per il cinema e di Jose Saramago per la letteratura.
O.k, ma non stavo pensando tanto a questo, ossia a essermi ritrovato in pochi anni solo, senza loro.
No, pensavo che uno se ne è andato a 46 anni e l'altro a quasi il doppio, 89.
O.k, non stavo pensando nemmeno tanto a questo ma ad una diretta conseguenza di questo.
Saramago ha iniziato a scrivere i suoi capolavori, almeno quelli più indimenticabili, a 70 anni, 70, ossia 24 di più di quando Philip ha sfidato per l'ultima volta la vita e si è ritrovato definitivamente sconfitto sul pavimento.
E allora ho pensato questo.
La morte non ci priva di quello che siamo stati, di quello che abbiamo fatto.
Perchè quello lo siamo già stati, quelle cose già le abbiamo fatte.
Non si dovrebbe piangere per il ricordo di qualcosa di una persona che non c'è più.
Lo so, è impossibile, ma del ricordo bisognerebbe riderne. E goderne.
Bisognerebbe piangere, semmai, di quello che ci sarebbe stato tutti i giorni e gli anni seguenti.
La morte ci ruba il condizionale.
Se Saramago fosse morto non dico a 46 anni come PSH ma a 68 anni non avremmo avuto Il Vangelo secondo Gesù Cristo, Cecità, L'uomo duplicato, Le intermittenze della morte e decine di altre cose. E magari Pilar non avrebbe avuto le passeggiate con lui, quella carezza quella sera, la vecchiaia insieme.
Bastava una tranquilla morte a 68 anni e la storia della letteratura sarebbe stata diversa.
Hoffman è morto troppo presto.
E io penso a quanti straordinari film avrebbe fatto i prossimi anni.
Penso quanto sarebbe stato meraviglioso a 60 anni, quando i capelli si fanno bianchi, quando il talento ormai non serve, quando il carisma è massimo. Decine e decine di film persi, di interpretazioni straordinarie perdute per colpa della morte che ci toglie l'Arte del condizionale.
Moltissimi artisti ci hanno lasciato prestissimo, 25, 30, 35, 40 anni.
E' paradossale dirlo ma la maggioranza delle opere d'arte della nostra storia ce l'ha la morte con sè.
Una collezione privata dell'Arte del condizionale, una collezione che si è comprata lei e nessun altro può vedere.
La immagino lì in fondo al mare, la morte, in una grotta dove tiene custodite tutte le opere d'arte che quello scrittore avrebbe scritto, quel pittore avrebbe creato, quel regista avrebbe girato, quell'attore avrebbe interpretato.
Le tiene lì insieme a tantissime altre cose che anche noi non artisti perderemo nel furto del condizionale.
Quel bacio che avremmo potuto dare.
Quella frase che avremmo potuto dire.
Quell'abbraccio rimasto inesploso.
Ogni giorno in più che la vita ci regala sono tante cose in meno che la morte tiene nella sua grotta.
E forse la vera felicità in vita sta nell'arrivare da lei a mani vuote.
Non mi puoi rubare nulla, tutto è già stato.

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