su l’«Enrico di Ofterdingen» di Novalis (un piccolo filo avvolto di lettura)

Creato il 14 marzo 2011 da Viadellebelledonne

Novalis, busto

«Quando numeri e figure non saranno più la chiave di tutte le creature, quando quelli che cantano o baciano sapranno più dei profondi eruditi, quando il mondo tornerà a essere vita libera e vero mondo, quando poi luce e ombra si ricongiungeranno in un genuino chiarore, e quando in fiabe e poesie si riconosceranno le storie eterne del mondo, allora di fronte ad un’unica parola magica si dileguerà tutta la falsità»
poesia che, stante alla “Notizia di Ludwig Tieck sul seguito”, avrebbe dovuto trovare posto nel proseguo del libro

Non è mia intenzione riassumere o dare una lettura completa, ancorché amatoriale, de  l’Enrico di Ofterdingen di Novalis; non ne sono in grado, non solo perché è un romanzo interrotto di fatto, e continuamente sospeso e trasfigurato nella parte che ci è pervenuta (basti pensare ad es. che la parte prima -“L’attesa”- rappresenta il 90% rispetto al 10% della seconda parte – “L’adempimento” ), ma per via della vertigine che mi coglie anche a riletture diverse, a distanza di anni, tanto che non saprei descrivere la costanza di questa sensazione se non con il suo risucchio;
difficile infatti starsene in superficie come su di uno specchio azzurro e calmo, di un cielo che mostra un solo volto: queste pagine sono piene di sogni, di gorghi oscuri, caverne, polle, montagne minerarie, figure misteriose, libri, ancora pagine che appena vergate vanno disfacendosi,… e l’immaginazione del lettore – la mia – è più di un sasso che, sprofondando a sua volta, fa più di un cerchio.

Mi limiterò quindi a rappresentare qualche rimando di questa spirale; qualcuno dei momenti che nel loro richiamarsi mi sembrano seguire lo spirito dentro gli alambicchi (quello spirito che Tieck dice essere “la poesia stessa, ma nello stesso tempo l’uomo astrale nato dalla unione di Enrico e Matilde”).

L’incontro di Enrico con il libro dell’eremita è uno di questi: centrale (non a caso questa è all’incirca la sua posizione nella prima parte “L’attesa”), profondo, direi il nodo massimo dato che è il libro stesso (l’Enrico di Ofterdingen incompiuto) :

«Il romito mostrò loro i suoi libri. Erano antiche storie e poesie. […] Enrico rimase con gioia presso ai volumi […] Sfogliava con infinito godimento […] Finalmente gli venne alle mani un libro scritto in una lingua straniera […] Non aveva titolo, ma cercando vi trovò alcune figure. Esse gli sembrarono inesplicabilmente note e, come guardò meglio, scoprì la sua propria immagine, perfettamente riconoscibile fra le altre figure. Si spaventò e pensò di sognare […] Credè appena ai propri sensi […] La sua effigie la vide in diverse situazioni […] Le ultime immagini erano oscure e incomprensibili; ma lo stupirono del più intimo rapimento alcune figure del suo sogno; al libro pareva mancare la fine. Enrico fu assai contrariato e non desiderò altro più ardentemente, che potere leggere il libro e possederlo del tutto. […] »

così come il libro e Novalis stesso (“lo scrivano”) sono nella seconda parte (“L’adempimento”)

«Ella vi tuffava ogni volta i fogli, ed essendosi, al ritrarveli, assicurata che un po’ dello scritto vi rimaneva, e divenuto brillante, rendeva il foglio allo scrivano, il quale lo cuciva in un gran libro, e spesso sembrava indispettito, quando la sua fatica risultava vana e tutto si cancellava

ma anche all’inizio, nel cap.I, quando Enrico, descrivendo la tensione che lo muove e il proprio pensiero prima di addormentarsi, fa un riassunto di molti eventi che poi saranno nel romanzo:

«Ho udito una volta parlare dei tempi antichi, e come fiere e alberi e sassi abbiano allora parlato agli uomini. Ho davvero il senso che debbano da un momento all’altro ricominciare, e ch’io possa vedere al loro aspetto quello che hanno da dirmi

Questa specchiatura, non dicotomica, bensì analogica, e intrinseca al farsi stesso del libro è particolarmente evidente nella modalità e nel susseguirsi dei sogni del protagonista, sogni che rappresentano ancore fondamentali della narrazione, tanto che viene da chiedersi se quello iniziale, che presenta al suo interno un altro sogno (una struttura ricorsiva di sogno nel sogno), non sia lo spazio del romanzo, tutto ciò che vi accade.

Ed ecco questo primo sogno, con all’interno l’altro, e il suo fiore azzurro, proprio in apertura di libro:

«
[…]
Il giovane se ne stava inquieto nel suo giaciglio e ripensava allo straniero e ai suoi racconti. Non so no già i tesori che hanno risvegliato in me un così ineffabile desiderio, si diceva; ogni cupidigia m’è aliena: ma io agogno di vedere il fiore azzurro. Esso mi sta di continuo nel cuore, e ad altro non posso pensare. Mai ancora ho provato qualcosa di simile: è come se avessi sognato, o piuttosto se mi fossi addormentato in un altro mondo; ché in quello che ho vissuto fin qui chi si sarebbe preoccupato di fiori, né mai ho sentito prima di così portentose passioni per un fiore.

[…]

Il giovane si perse a poco a poco in dolci fantasie e si addormentò […] Ogni impressione saliva in lui ad un’altezza mai conosciuta. Egli viveva una vita infinitamente diversa; moriva e rinasceva, amava fino alla più sublime passione e poi di nuovo era diviso in eterno dall’amata. […] Ebbro e rapito, eppure consapevole di ogni impressione, nuotò adagio […]
Una sorta di dolce sopore lo vinse, in cui sognò fatti indescrivibili e da cui lo riscosse un altro chiarore[…] Ma ciò che soprattutto lo attrasse fu un alto fiore, azzurro chiaro, che stava presso la fonte e lo sfiorava con le sue larghe foglie lucenti […] Ma lui non vedeva che il fiore azzurro […] Infine volle avvicinarglisi […] il fiore si piegò verso di lui e mostrò un’espansa corolla azzurra, in cui si cullava un tenero volto. Il suo dolce stupore cresceva colla rara metamorfosi, quando all’improvviso la voce di sua madre lo destò […]
»

Questo sotto invece è il sogno di Enrico dopo avere raggiunto già la Turingia e conosciuto Matilde; come si può osservare, la struttura, pure nelle variazioni, è pressoché ripetuta: il protagonista preda della propria eccitazione, il sopore che prende al mattino (quando i sogni più facilmente escono dalle porte di corno), la riva e l’ambientazione azzurra, l’immersione curiosa o affannosa, il nuoto di attesa o di angoscia, il qualcosa di ineffabile che viene percepito o detto ma che per sua natura sfugge, il risveglio per intervento di un familiare (cioè di qualcuno che ha con il protagonista un legame di discendenza):

«
Enrico era esaltato, e solo tardi il mattino s’addormentò. […] Una profonda riviera azzurra riluceva dal verde piano. Sull’acqua calma vogava una barca. Matilde sedeva e remava […] il cielo era sereno, placida l’onda. Il celeste volto di lei si specchiava nell’acqua […] Ad un tratto la barca cominciò a girare. Un inaudito spavento lo prese. Si buttò nella corrente […] La spaventosa angoscia gli tolse la coscienza […] Tornò in sé solo quando si sentì all’asciutto […] Come un sogno angoscioso stava dietro a lui l’orribile accaduto […] Ad un tratto qualcuno lo trattenne per la veste […] Si volse, e Matilde lo chiuse fra le braccia […] Enrico pianse […] Dov’è il fiume? – chiese fra le lacrime- […] Egli guardò in alto, e il fiume azzurro scorreva leggermente sulle loro teste. […] Gli disse una meravigliosa misteriosa parola sulla bocca, che risonò attraverso tutto il suo essere. Egli voleva ripeterla, ma il nonno lo chiamava e si destò. Avrebbe dato la sua vita per sapere ancora quella parola.
»

Aggiungo la mia fascinazione per l’inversione speculare di quel fiume azzurro (ora cielo?) sopra le teste, e per  il richiamo qui finale alla “parola” (quella “una meravigliosa misteriosa parola” per la quale “avrebbe dato la sua vita”) che avverto di nuovo in relazione con la parte iniziale del libro,  prima ancora del sogno:
«Devono esserci ancora tante parole che non so: se ne sapessi di più, potrei capire tutto molto meglio. Una volta ballavo volentieri: ora penso piuttosto alla musica.»

Infine, senza indagare ulteriormente la tensione al fiore azzurro, alla “musica” della parola, alla poesia

(che poetico è tutto il romanzo:   «[…] Si vedeva sulla soglia della lontananza in cui aveva spesso guardato dalle prossime montagne e che s’era dipinta con portentosi colori. Era in procinto di bagnarsi in quell’onda azzurra. Il fiore meraviglioso gli stava davanti ed egli guardava verso la Turingia […] »; …;
« […]Sentì che gli mancava un liuto, per quanto poco sapesse come precisamente era fatto e quale influenza sortiva. La serena vista della splendida sera lo cullava in fantasie dolci; il fiore del suo cuore si mostrava a tratti in lui come un lampo. […] »…)

la mia ultima osservazione riguarda la fusione che questo romanzo, pure nel suo essere incompiuto, lascia a tratti -a frammenti- (a lampi come quel cuore che si mostra) intravedere:  futuro-passato, cielo e terra insieme:

«Cielo e terra si confusero in dolce musica. Un meraviglioso fiore nuotò lucente sulle placide onde.[…] » (cap IX – parte prima L’attesa)

«Futuro e passato si erano frammischiati in lui e avevano stretto un’intima alleanza. Egli era del tutto fuori del presente, e il mondo ora sì gli diveniva caro che lo aveva perduto e ci si trovava soltanto come un forestiero […] » (da Il chiostro, ovvero l’atrio – parte seconda L’adempimento)

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le parti qui riportate sono tratte da «Novalis Enrico di Ofterdingen» nella traduzione di Tommaso Landolfi, Quaderni della Fenice – Guanda, 1980
Aggiungo dalla breve introduzione di Giorgio Cusatelli allo stesso libro, la seguente testimonianza su Novalis (1772-1801) ad opera di Friedrich Schlegel: “Il destino ha messo nelle mie mani un giovane (Novalis aveva allora diciannove anni) che può diventare tutto. Mi è piaciuto moltissimo e gli sono andato incontro; allora mi ha spalancato il santuario del suo cuore. Io vi ho preso dimora e vado studiandolo. Un uomo ancora giovanissimo, di figura slanciata, di volto fine, con gli occhi neri, magnificamente espressivi quando parla tutto infuocato di qualcosa di bello – un fuoco indescrivibile – parla tre volte più e tre volte più svelto di noialtri – intelligenza fulminea e acuta. Non ho mai visto così vivo lo splendore della giovinezza. La sua sensibilità mostra una castità, che ha radice nell’anima, non nell’inesperienza”
immagine da http://commons.wikimedia.org/wiki/File:Novalis_bust.jpg



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