Su Parenti serpenti di Mario Monicelli

Creato il 30 dicembre 2011 da Spaceoddity
Se quei poveri nonni Saverio (Paolo Panelli) e Trieste (Pia Velsi) avessero avuto un po' più di tempismo, forse non sarebbero finiti con un botto, un po' troppo in anticipo per il capodanno. Ma su, a Mario Monicelli interessava proprio far vedere la situazione quando esplode. Così, l'incontro annuale di fratelli, cognati e nipoti a casa dei sucitati ospiti diventa miscela ideale per un film ad altissima carica corrosiva. Parenti serpenti (1992) è uno dei film più sciaguratamente natalizi che si possono immaginare: un Natale non dello spirito, ma della prassi, della serie, perché poi le cose vanno così in effetti.
E le cose vanno così in effetti, perché una notizia squaderna questa già sbrindellata famiglia: qualcuno deve ospitare i nonni, perché loro non sono più in grado di badare a sé stessi e a sopportarsi vicendevolmente. La luce malvagia che emanano gli occhi di Trieste mentre serve la zuppa di Natale e annuncia di volersi trasferire a casa di uno dei figli, dietro lauta ricompensa, fa esplodere la situazione molto prima che una stufa difettosa entri in casa. Una miccia percorre l'intera casa paterna senza riscaldarla, rivelando solo piccoli squarci di una realtà che si componeva a comando in feste canoniche, quando ciascuno si sforza di incastrare la sua vita con quelle altrui.
Ma le vite si incastrano quando e come meno te lo aspetti. E se nello straziante Un borghese piccolo piccolo la situazione non si può ricomporre che in un'inutile, ma grandiosa vendetta, qui non abbiamo un torto e una rivalsa, ma una serie di crucci, di ostinazioni, di tic e di piccini malesseri. Non è perché non ci sia una sola famiglia più o meno identificabile con quella che ciascuno sogna per sé, né perché ognuno di quei nuclei è un paradigma sociologico riconoscibilissimo: questi esseri umani, sfatti dalle loro misere, non vogliono contagiate le loro nevrosi, le ragioni di una convivenza.
L'altro è troppo vicino perché la sua incompatibilità possa esaurirsi in un disturbo a tempo determinato. Non è possibile un ritorno, l'altro c'è ed è vicino, è questione di responsabilità. Di fronte a questa mina, la famiglia esplode, perché non può non farlo. Un gruppo di amici, quale quello che si incontrerà ad accogliere l'anno nuovo, non può frantumarsi se non c'è questo collante che è lo sguardo sull'altro. Lungi dal considerare positivo l'exemplum di Mario Monicelli, devo riconoscere però che il regista ha puntato il dito sul nodo della solidarietà reciproca, quella che con un po' di disinvoltura si vede diluire in un annacquato laissez-faire nell'amicizia all'epoca di un click per confermarla. Si può riconoscere la piena e totale libertà dell'altro a maturare, a determinarsi, a conoscere, riconoscere e amare i suoi modelli senza per questo abbandonarlo al suo destino di tristissima solitudine. Su una libertà negativa (libertà da vincoli e imposizioni) - che difenderò sempre con tutto me stesso - potremmo costruire anche qualche ragione in più per incontrarci, festeggiare e prenderci un po' più cura l'uno dell'altro.

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