Ma le vite si incastrano quando e come meno te lo aspetti. E se nello straziante Un borghese piccolo piccolo la situazione non si può ricomporre che in un'inutile, ma grandiosa vendetta, qui non abbiamo un torto e una rivalsa, ma una serie di crucci, di ostinazioni, di tic e di piccini malesseri. Non è perché non ci sia una sola famiglia più o meno identificabile con quella che ciascuno sogna per sé, né perché ognuno di quei nuclei è un paradigma sociologico riconoscibilissimo: questi esseri umani, sfatti dalle loro misere, non vogliono contagiate le loro nevrosi, le ragioni di una convivenza.
L'altro è troppo vicino perché la sua incompatibilità possa esaurirsi in un disturbo a tempo determinato. Non è possibile un ritorno, l'altro c'è ed è vicino, è questione di responsabilità. Di fronte a questa mina, la famiglia esplode, perché non può non farlo. Un gruppo di amici, quale quello che si incontrerà ad accogliere l'anno nuovo, non può frantumarsi se non c'è questo collante che è lo sguardo sull'altro. Lungi dal considerare positivo l'exemplum di Mario Monicelli, devo riconoscere però che il regista ha puntato il dito sul nodo della solidarietà reciproca, quella che con un po' di disinvoltura si vede diluire in un annacquato laissez-faire nell'amicizia all'epoca di un click per confermarla. Si può riconoscere la piena e totale libertà dell'altro a maturare, a determinarsi, a conoscere, riconoscere e amare i suoi modelli senza per questo abbandonarlo al suo destino di tristissima solitudine. Su una libertà negativa (libertà da vincoli e imposizioni) - che difenderò sempre con tutto me stesso - potremmo costruire anche qualche ragione in più per incontrarci, festeggiare e prenderci un po' più cura l'uno dell'altro.