sua maestà: il sigaro
Creato il 18 marzo 2010 da Sara
I " torceador" dicono che un "puro" va gustato subito, il giorno dopo essere stato confezionato, solo così si riesce a catturare la sua anima (come la mozzarella di casa nostra che Petrillo da Mondagrone sostiene possedere 24 virtù, quelle di un solo giorno appunto, e se non viene mangiata subito, ne perde una ogni ora). Loro se ne intendono, perchè di puros, di sigari cioè, ne producono fino a 180 in un giorno. Il viziaccio maledetto e sublime è nato proprio a Cuba, in queste valli di Pinar del Rio e Vinales. Cristoforo Colombo ha visto subito questo strano rito degli indios che arrotolavano le foglie di un arbusto chiamato "cohiba" e le fumavano tenendole direttamente in bocca, oppure inserite in una canna biforcuta che infilavano nelle narici. A quelle foglie color smeraldo venivano attribuite potenti virtù religiose e medicinali, altro che cancro nei polmoni. Il tabacco da queste parti non è solo una fonte di ricchezza, è qualcosa di più. Un rituale cantato dai poeti, un'arte orgogliosa, un legame con la propria terra e la propria storia. Nemmeno il Lider Maximo è riuscito a rendere collettiva la coltivazione del tabacco: ancora oggi 80 per cento dei campi è coltivato da piccoli agricoltori che devono comunque dare il 90 % della produzione allo stato e ne tengono il 10% per se, da fumare o da vendere.
Piante curate "come fossero una signora delicata" che il contadino accarezza proteggendole dai raggi eccessivi del sole, dall'umidità che le rovina. Un lavoro troppo delicato per essere affidato agli schiavi: nella valle del tabacco per secoli hanno lavorato solo uomini liberi, che si considerano l'aristocrazia della classe operaia cubana. Ci vogliono 80 operazioni diverse per creare un sigaro cubano e ogni passaggio ha un suo specialista: il "desparillero" che toglie le foglie dall'arbusto, il "regazado" che le seleziona, quello che toglie la nervatura centrale della foglia, è la parte più ricca di nicotina (credo che venga utilizzata per le sigarette), il "tabaquero"
che confeziona arrotolando i sigari uno per uno con maestria antica e veloce. Poi c'è l' "escogedor" che li divide in base al colore, l'"anillador" che li adorna di un anello di carta e infine il "revisador" ovvero il controllo qualità. Cuba sopravvive anche grazie al loro lavoro. Si può non essere fumatori e tanto meno di sigari, ma la sua storia e la sua lavorazione sono veramente affascinanti. Ci vuole all'incirca un anno per avere un sigaro pronto in mano: 4 mesi per coltivare le foglie, 3 giorni per il raccolto,
poi la fase dell'essicazione, prima all'aperto al sole e poi dentro
ed infine la fermentazione, le foglie spruzzate di acqua+ rhum+ miele+ limone in proporzioni che non conosco. C'è il sigaro fatto totalmente a macchina, quello semi artigianale (l'interno tritato meccanicamente e poi avvolto manualmente della sua foglia esterna, infine quello fatto interamente a mano come abbiamo visto nella fantastica Real Fabrica de Tabacos Partagas
negli ultimi giorni all'Havana ed è stata un'esperienza bellissima. 700 persone di tutte le razze e colori sedute a vecchi banconi di legno, intente a manipolare foglie, accarezzarle, trasformarle, misurarle, adornarle.
Ci sono ben 42 tipi e dimensioni di sigaro. Dal Cohiba creato nel 1966 per Fidel Castro e offerto come regalo agli ospiti stranieri, (lui fumava il cohiba Espléndidos) al Bolivar, in omaggio al grande liberatore dell'America del sud, dal classico Montecristo 2 al più dolce Romeo y Julieta creato nel 1903 da un cubano che aveva molto viaggiato in Europa.
Dalle valle di Pinar la strada si arrampica serpeggiando fra le colline cosparse di "bohìos",
le case contadine e come sempre si incontra varia umanità.
Ecco la valle di Vinales, con quella di Baracoa senz'altro una delle più belle regioni che abbiamo visto,
protetta da una corona di montagne e da mogote (grandi monoliti calcarei)
spuntati nei millenni come immensi funghi dopo un temporale. A perdita d'occhio, un mosaico di terra rossa acceso e macchie verdi di tapioca, gli aranceti che invadono di profumo e di colore, le lunghe foglie dei banani. Qui, il tempo non esiste. I buoi trascinano lenti gli aratri,
i contadini avanzano a cavallo lungo sentieri stretti,
sollevando nuvole di polvere, i ritmi del vivere sono lentissimi, sembrano alla moviola.
Con la nostra guida campesina Bolo
camminiamo per campi, siamo fortunate, proprio al nostro passaggio è il momento della raccolta delle foglie,
poi stese al sole ad asciugare, Gastone si fa un bel giro a cavallo, i colori della terra e della natura intorno sono veramente straordinari e la sera, come sempre musica a volontà. Ci improvvisiamo anche speleologhe
nella visita della Cueva (la caverna) di San Tomas,
la più vasta rete di grotte carsiche dell'isola, stalagtiti e stalagmiti perfino di formazione orizzontale.
Sotto terra il percorso è molto arduo e faticoso, piagnucolo e mi faccio aiutare da un pompiere tedesco, turista come me. Per finire l'ultimo incontro con l'oceano
a Cayo Jutias, selvaggio e silenzioso.
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