Da quando compare come damigella d’onore di Sua Maestà Raffaella Carrà nel nuovissimo spot TIM, si è convinta di avere il sangue blu nelle vene, e ha dichiarato che continuerà il suo lavoro solo a patto di starsene mollemente accomodata nel sontuoso palco d’onore del Teatro dei Coraggiosi.
Oltre a ciò, pretende che due palestratissimi paggetti in tanga riforniscano continuamente la sua scorta di pistacchi, noccioline granellate e semi di zucca.
Noi, che però siamo qui per parlare di Anni ’80, non possiamo esimerci dal sentirci esplodere dentro un magone di triste malinconia, nel pensare allo spot in cui la nostra assistente alla regia è al fianco di Donna Raffaella, e nel realizzare quanto la Signora Pelloni, diva incontrastata dell’emittenza, sia caduta in basso (e ci riferiamo ovviamente al suo fare da testimonial a schede telefoniche e yogurt contro il colesterolo, non al fatto che abbia lavorato con la Occhini).
Dunque non ci resta altro che consolarci con il ricordo del grande boom televisivo del 1984, quando, ancora con la complicità di Gianni Boncompagni, la Carrà inventò la televisione di mezzogiorno, e lanciò quell’innovativo “Pronto Raffaella?”, padre di tutti i palinsesti giornalieri contemporanei.
Chi a quei tempi non c’era e non ha vissuto in prima persona la rivoluzione dei giochini scemi all’ora di pranzo difficilmente riuscirà a rendersene conto, ma quella trasmissione fece da vero e proprio spartiacque, cambiando per sempre il concetto di intrattenimento e spaccando la storia d’Italia in due ere: ante- e post- “Pronto Raffaella?”.
Gli ingredienti del programma erano tutti superinnovativi: in primis c’era una soubrette fino a quel momento consacrata solo ai lustrini e alle mille luci del sabato sera che d’improvviso entrava in cucina tra sughi e sacchetti della spazzatura, mischiando i classici balletti, le canzoni e i vestiti da circo con un più inedito lato casalingo e quotidiano. Poi c’era il talk show: un salotto alla Costanzo dove si alternavano attualità e sogno, drammi e interventi comici, storie comuni e personaggi dal peso specifico sproporzionato rispetto allo stile della trasmissione (cercate su Youtube il video con l’ospitata di Madre Teresa di Calcutta, e capirete cosa intendo).
Last but not least c’erano i giochini al telefono, quizzetti banalissimi eppure assolutamente irrisolvibili in cui la cultura era un inutile accessorio e tutto era puntato su due elementi-chiave: la fedeltà al programma (che consentiva di prendere nota di tutto quanto già detto dagli altri partecipanti) e una incommensurabile botta di culo.
Una media di quattordici milioni di telespettatori rimaneva incollata al teleschermo (roba che oggi nemmeno i mondiali di calcio), e d’improvviso il sacro rito del pranzo in famiglia con gli abituali racconti e le discussioni si azzerava a beneficio di quello che qualche anno dopo Renzo Arbore, in una celeberrima sigla, avrebbe definito “nuovo focolare”.
Smessi i panni della principessa delle showgirl, Raffaella diventava di colpo la Regina dei Fagioli, un curioso incrocio tra una giornalista, una cantante di pezzi trash e una dispensatrice di miracoli in salsa mista. Il tutto – ovviamente – senza rinunciare mai a quell'innata vocazione di baraccona placcata oro che ancora oggi, a sessantotto anni suonati e nei trenta secondi di uno spot, è il suo vero, costante, inconfondibile marchio di fabbrica.
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