Se Facebook rappresenta più un passatempo che un modo di mantenere le relazioni, c'è da preoccuparsi.
Se si chiede e concede amicizia con l'obiettivo di farsi i fatti degli altri e farsi bello con i propri, vuole dire che Facebook non è la piattaforma che pensavo.
Nessuna ipocrisia, ci mancherebbe (anch'io lurko, cazzeggio e spettegolo), ma è che questo studio, se l'ho ben interpretato, non sembra sostenere la tesi secondo cui il Social Newtorking online (su Facebook in modo particolare, considerando le dimensioni) possa tamponare il processo di liquefazione della società.
Ho sempre colto nelle parole di Bauman, il teorico della società liquida, un messaggio positivo sulla Rete; ho creduto, e credo ancora, che il sociologo polacco assegni in qualche modo ai Social Media un ruolo fondamentale: essi riescono a salvaguardare le relazioni tra le persone che altrimenti, con una costrizione a rinegoziare i canoni sociali, sarebbero destinate a perdersi completamente.
In altre parole: i Social Media ci concedono, con tempi di latenza e distanze dilatati, un respiro che non avremmo se dovessimo sottostare ai vincoli più stringenti del tempo reale e della vicinanza (eccessiva e, quindi, in tanti casi deleteria).
[Nota a margine: Un tempo reale e una vicinanza dalle quali, sembrerebbe, ci si lascia sedurre animati da uno spirito speculativo fine a se stesso (il pettegolezzo, per dirla con termini diversi).]
Questa riflessione non nasconde alcuna critica al face-to-face (eventualmente mediato, ma comunque - per dirla tecnicamente - senza elementi di ritardo della comunicazione); voglio invece dire che, se le motivazioni alla connessione mettono in secondo piano la relazione, più che alla liquefazione, dobbiamo prepararci alla sublimazione della società. E della Rete stessa.
Non è certo una bella prospettiva.