Del Paolo e dell’Elisa non vi avevo mai raccontato, vero? No perché è una delle più belle storie d’amore di cui sono mai venuto a sapere. Allora prendete i popcorn e mettetevi comodi. Sentite qui. Il Paolo e l’Elisa si conoscono da sempre, probabilmente da prima dell’età delle medie o giù di lì, da quando cioè i rispettivi genitori li iscrivono in uno di quei gruppi che si riuniscono per fare gite in montagna e pregare insieme vestiti coni pantaloncini corti anche d’inverno. Avete capito, vero? Non scrivo il nome di questa organizzazione internazionale di ragazzini guidati da capi e guide per non incorrere nella lotteria dei motori di ricerca, giacché i nomi che ho usato sono proprio quelli veri e non vorrei mai che il Paolo o l’Elisa capitassero da queste parti. Qualora succedesse ciao Paolo e ciao Elisa, sappiate che vi stimo entrambi e che ho maturato un rispetto talmente elevato delle vostre divise, dei vostri fazzoletti e dei vostri distintivi che ho fatto di tutto affinché mia figlia mostrasse interesse per questo tipo di vita comunitaria. Ma, e lo saprete meglio di me, i figli crescono proprio come i genitori. Con un padre misantropo e dalla manualità pari a quella di un pesce rosso non potevo pretendere di più, e ci tengo a confermarvi che il mio non è sarcasmo nei confronti della vostra linea di comportamento, c’è invece tanta invidia per aver gettato via finesettimana chiuso in cantine puzzolenti a suonare e fumare erba scadente anziché, come voi, a lodare Dio e la natura su per i monti, nell’atmosfera promiscua delle tende piantate sui cocuzzoli degli appennini mentre noi, al massimo, eravamo condannati ad anelare a una fugace limonata ai giardinetti.
Non a caso campi e cambuse sono state galeotte per molti. Paolo ed Elisa nì, come direbbe il mio ex capo che si è dato alla macchia, nel senso che Paolo deve aver capito subito – un po’ come la storia di Carl Fredicksen e signora in Up della Pixar – che Elisa era fatta di tutti gli ingredienti giusti per creare l’amalgama perfetto per trascorrere tutta la vita insieme. Elisa forse no, c’è arrivata dopo, ma dal modo in cui è nata la loro unione posso assicurarvi che si si potrebbe ricavare almeno un romanzo, se non un cartone animato si successo.
Il papà di Elisa era un vero alpinista e scalatore, di quelli che si imbragano con funi e chiodi e martello e si avvicinano a Dio per la strada più breve ma più impervia, quella che noi umani non vediamo perché nascosta sulla superficie scoscesa delle pareti rocciose e si snoda lungo un messaggio in codice fatto di nicchie e appigli che i membri di questa razza di eletti vedono solo loro. Ma capita che, come tutte le discipline estreme, sia anche la via più veloce e, soprattutto, la più soggetta alla forza di gravità. Fraintendi un appiglio, non cogli il segnale di una nicchia e voli giù. Non so bene come sia andata, ma al papà di Elisa è capitato proprio di prendere la scorciatoia in un punto delle Alpi Marittime che non saprei identificare nemmeno se esistesse una specie di Google Maps per i luoghi delle tragedie, che ve lo immaginate uno come Bruno Vespa con uno strumento così? Altro che plastici. Ci uscirebbero chissà quante stagioni di Porta a porta.
Ora non so quanti anni avesse Elisa quando ha perso il papà alpinista in uno dei frequenti drammi della montagna, ma mi piace immaginare che fosse abbastanza giovane da non indurre la mamma a sottrarre la bambina alla passione del padre, perché la montagna è di una bellezza senza paragoni e se la vivi con soggezione, come per esempio succede a me che vengo dalla città e dalle vetrine illuminate, perdi più di un’occasione per capire come funzionano le cose. La metafisica, intendo, quello che l’uomo ha dentro e tutto il resto. Non a caso Elisa continua a frequentare la squadriglia anche perché lì ci sono tutti gli amici e soprattutto Paolo che probabilmente fino ad ora è uno come tanti altri.
Poi però succede che le coccinelle diventano lupetti e poi non so, il livello successivo, diciamo quello a cui si accede intorno ai sedici anni e rotti. Non sono dell’ambiente, non conosco il linguaggio tecnico, scusate la ripetuta cialtronaggine. Paolo, Elisa e una manciata di esploratori come loro si ritrovano a bivaccare proprio nei pressi in cui si è consumato l’incidente che ha negato ad Elisa la possibilità di diventare grande con il suo papà a fianco. Qui c’è stato il colpo di genio di Paolo, sia che lo intendiate come una mossa per conquistare l’oggetto dei desideri, sia che crediate come me a quella grande percentuale di sensibilità di cui certe persone sono intrise. Non quei barlafus come il sottoscritto, e poi capirete il perché.
Fatto sta che Paolo, mentre tutti sono in cerchio intorno al fuoco di sera a condividere stati d’animo e racconti di varia intimità, Paolo imbraccia la chitarra che è un must di quei gruppi organizzati (faccio una parentesi: vi ricordate quella specie di raduno da guinness dei primati in cui la gioventù ardente di fede ha cantato in coro le bionde trecce con l’accompagnamento di migliaia di chitarre acustiche allo stadio di non ricordo dove in occasione di una visita del pontefice polacco?) dicevo Paolo, che sapeva che il luogo in cui stavano campeggiando aveva un valore particolare per Elisa, Paolo imbraccia la chitarra e canta i versi di quella canzone che parla di un signore delle cime con la esse maiuscola, un canto che ha un testo così struggente che se non fossimo così stupidamente sarcastici e secolarizzati sapremmo che incarna una certa spiritualità, l’altimetria che porta in contatto con la grande anima che chi crede vede nelle cose e nei posti, una versione un po’ pagana dell’essere cristiani che però, oggettivamente, ha un suo perché e sono tutto sommato contento che ci sia chi si bea di questo tipo di esperienza alla faccia mia che al massimo sublimo con Paul Auster o con i Tv on the Radio.
Comunque Paolo canta questa canzone che ha un significato profondissimo per Elisa, e in quell’atmosfera fatta di barrè e di falsetto, Elisa cade prigioniera di un amore che potrebbe tranquillamente finire negli annali dello scoutismo (ops mi è scappato e mi sono tradito). Elisa capisce che Paolo ha un animo talmente profondo che può accogliere tutto il suo passato, tutto quel presente fatto di ombre da falò e di boschi e di vallate e di stelle, e tutto il futuro che davvero, credetemi, fila liscio se non fosse per un piccolo incidente di cui mi assumo tutta la responsabilità ma che è davvero una pagliuzza in un campo di grano grande come il mondo sopra il livello del mare.
Paolo ed Elisa si sono infatti poi sposati e vivono felici e contenti e riprodotti, almeno così credo perché non li vedo da almeno quindici anni. La morale di questa storia, che, ripeto, è una delle più belle storie d’amore che io conosca, è che quando cammini in montagna senti qualcosa che davvero non è possibile cogliere, che poi noi aridi riempitori di blog cerchiamo di descrivere a parole ma non abbiamo avuto quel battesimo che non è quello che poi ti porta alla comunione o agli altri sacramenti, ma è quello di quella cosa che si avvicina a un’idea di amicizia che tante altre situazioni che passi nella vita ti danno solo un assaggio ma è tutta una questione di pressione, di aria rarefatta, di vicinanza con i raggi solari e anche di colori, che così tanti non ne vedi proprio da nessun’altra parte.