Il musicista ambulante, nel frattempo, ha attaccato la prima letra. E finalmente mi é chiaro il perché di cotanta famigliaritá.
“Nooooo, ma é il Garrotín!!!”, urlo verso Céline e circa venti passeggeri che mi guardano come se fossi in procinto di commettere un attentato. “L'ho ballata un paio di anni fa”, mi affretto a spiegare (a tutti). E d'impulso la coreografia mi si dipinge in testa, esternandosi in un verosimile sorriso. ...De la vera, de la vera, de san juaaaan!É con questa colonna sonora che ci dirigiamo verso la sede di Puerco Espín. O, almeno, verso quella che la mia piantina malandata sembrava indicare come la fermata piú vicina. Non sará cosí secondo il poliziotto logorroico che fermiamo appena uscite. “Uuuuuuh, ma é lontanissimooooo”, ci demoralizza in un sospiro. Il musicista, manco mi leggesse dentro, si é congedato una fermata prima augurandosi “che dentro di noi abbiamo ballato”. Non sai quanto, amigo mio. Ay garrotánnnn…!
Il poliziotto, in realtá, avrebbe anche avuto torto. La sede dell'agenzia di management di Dani Martín, a cui sono diretta con la precisa missione di consegnare dei pacchi dono, si trova a scarse centinaia di metri da dove ci troviamo. Peccato che il nostro spiccato senso dell'orientamento, unito ai primi morsi della fame e all'agilitá di flessione a favor di vento della cartina di cui sopra, ci devii verso un dedalo di stradine laterali. La traiettoria che finiamo col compiere comprende quattro giri su noi stesse, una salita impervia, e un elevato numero di scalini in pietra da risalire trascinando un trolley. Il tutto, nel passo accelerato di chi sa che é l'una e cinquanta e gli uffici (sigh) chiudono alle due.Préguntaleee a mi sombreeeero... Tra l'altro, se qualcuno mi togliesse dalla testa questa cavolo di musichetta magari potrei ragionare con luciditá.Morale: quando mi incollo al campanello del vecchio portone con sú la targhetta “producción audiovisual” ho il fiato corto, l'ascella pezzata, i capelli scomposti e tutto l'aspetto di una che ha appena finito di fare una maratona. Quando Carlos mi apre la porta (GrazieADioNonHannoAncoraChiuso) ho la vaga sensazione che potrei svenirgli in braccio. “Buongiooooooaaaaaaaaaahhhaaaacqua”, é all'incirca il saluto che mi esce. Dietro di lui scorgo, in quest'ordine: uno stanzino piuttosto disordinato, un Mac identico al mio, un bellissimo maglioncino con un cuore nero ricamato sopra, María che indossa il suddetto maglioncino dietro al suddetto computer, e – alla sua destra – un'altra scrivania a beneficio di un'indaffarata Patricia. E penso, in quest'ordine: l'immaginavo piú grande, potrebbero mettere un po' a posto, guardaaaa come il mio!, minchia che caldo, chissá chi gestisce i social network, secondo me é di Zara o di H&M. Per una specie di deformazione professionale mi verrebbe anche da dire, cosí a random, che gli hashtag di un evento andrebbero fatti piú corti, ma vista la poca professionalitá denotata dalla mia attuale condizione psicofisica decido di desistere.
“Sono passata a portare dei [Rantolo da moribonda] regaaaali [rantolo da moribonda] per Dani [sventolamento compulsivo con mano, asciugamento di goccioline dalla fronte]”, dico invece guardando Carlos, che per qualche motivo mi sembra il meno ostile dei tre.
Detto ció, apro il mio trolley facendo rotolare rovinosamente un paio di converse rosse per terra, e ne estraggo un sacchetto leopardato e stropicciatissimo che mi avevano dato dai cinesi. “Il sacchetto potete buttarlo, é solo perché la roba non si...[rantolo]rovini [colpo di tosse]. Ci sono due regali: uno da parte mia e uno da parte di venti fan italiani di Dani”. “Che meraviglia, grazie!”, esclama lui. “Se magari quando glielo date mi... mi...”“Si tranquilla, glielo daremo appena lo vediamo”. Io in realtá volevo chiedere se potessero avvisarmi, ma non ho le forze materiali per concludere la frase. Invece, blatero qualcosa sul fatto che mi sono persa per arrivare lí e che estoy muerta, estoy muerta, Ay, Dios, inevitabilmente enfatizzando l'idea di perfetta psicopatica che sicuramente si sono giá fatti di me. Pazienza.
María-bel-maglioncino, indaffarata al computer-come-il-mio, interviene allora nella conversazione chiedendo se dovessimo per caso “ritirare qualcos'altro”. Sto per rispondere “sí, un pass”, e poi fingere che fosse una battuta, ma mi sono appena accorta del cartonato di Dani Martín in scala 1:1 che vigila l'ambiente alle sue spalle e mi prende di colpo un insensato attacco di ilarità.
“No, no. Sono solo passata a portare i regali, come dicevo nella mail perché, insomma...siamo in Calle Reyes Magos e volevo fare anch'io il Re Magio! Ahahahaah” Nessuno ride. Eccheccazzo, era due giorni che mi studiavo 'sta frase. Ingrati. “Cioé, il fatto é che sapete com'é, se si puó evitare la posta, ché poi non sai mai quando arrivano le cose...”
“No, certo, hai fatto bene. Grazie mille per tutto. Glielo consegneremo”“No, grazie a voi”“No, grazie a te.”“Grazie a voi”“Grazie a te”“Grazie a v...vabbé, Céline, andiamo a mangiare?” Carlos ci congeda con un Arrivederci italiano in eccesso di erre rotanti. Dopo di che, ci vogliono due bambini di 4 anni a testa per spiegarmi – in dieci minuti buoni e parlando molto lentamente - come diavolo si faccia ad aprire il portone. Non discuteremo di tale apoteosica performance finché non ci saremo sedute a un café y tè – all'aperto, perché siamo in Spagna- con l'aggravante di ordinare Gazpacho. Nel tentativo di convincerci che il gelo polare attorno a noi sia “temporaneo” rischiamo la congestione e socializziamo con un passerotto. In fondo é l'unico altro avventore: pareva scortese non attaccare bottone! Lo battezziamo Twitter, nell'attesa che qualcuno lo dipinga di blu.
In tutto questo, la cameriera ci regala dei simpatici cuscinetti confiabili “nel caso volessimo andare a vedere le corride”. Cosa che ovviamente non faremo, ma … Dio se vanno bene per la fila! (To be continued)