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Sud Sudan. Non si fermano le violenze. Migliaia di morti e bambini soldato

Creato il 17 gennaio 2014 da Giacomo Dolzani @giacomodolzani

soldatidi Giacomo Dolzani

Non si ferma la guerra civile nel Sud Sudan, paese nato meno di tre anni fa, il 9 luglio 2011, in seguito ad un referendum che, dopo un lungo conflitto, sancì la sua indipendenza da Khartoum.
In seguito alla secessione però le violenze tra gruppi armati appartenenti a tribù rivali continuarono, soprattutto nello stato dello Jonglei, mentre tra Juba ed il governo sudanese si delineavano le premesse per una nuova guerra alla base della quale ci sarebbero stati la definizione di alcuni tratti di confine, come quello in corrispondenza del distretto petrolifero di Abyei, e la spartizione dei proventi del greggio estratto in Sud Sudan ma trasportato necessariamente verso nord tramite gli unici oleodotti presenti nel paese e che obbligano Juba a far transitare il proprio petrolio in territorio sudanese.
Nonostante lo scontro fosse diventato quasi inevitabile venne raggiunto in extremis un accordo tra le due parti, sotto forti spinte di tutta la comunità internazionale, che garantì la pace ed una relativa stabilità nell’area.
La situazione è precipitata però irrimediabilmente in seguito al fallito tentativo di golpe di alcuni reparti del Spla, l’esercito sudsudanese, rimasti fedeli a Riek Machar, ex generale ai tempi della guerra contro Khartoum e, fino a pochi mesi fa, vice di Salva Kiir, l’attuale presidente.
Il 23 luglio del 2013 infatti Machar, che aveva accusato Kiir di autoritarismo e di comportamenti dittatoriali, venne destituito dalla carica di vicepresidente in seguito ad un rimpasto di governo, che di fatto si trasformò in una purga ai danni dei possibili avversari politici dell’attuale leader, cosa che lo portò, il 15 dicembre scorso, a lanciare un’offensiva militare, appoggiato da ribelli a lui fedeli, contro alcune caserme e tentando di prendere il controllo di diversi luoghi chiave della capitale; nella notte le sue forze vennero però respinte dalle truppe governative.
Nonostante il colpo di stato non sia riuscito i guerriglieri di Machar, nelle settimane successive, hanno preso il controllo di città strategiche come Bor, capitale dello Jonglei, mentre i combattimenti si sono diffusi in tutte le regioni del paese, compresi i distretti petroliferi settentrionali, obbligando l’Onu e le varie ong umanitarie a ritirare il proprio personale presente nell’area.
In un solo mese le vittime della guerra sarebbero già diverse migliaia, alle quali si aggiungono le centinaia di migliaia di profughi in fuga verso il sud; in seguito al tentativo fallito di ristabilire la pace con un vertice ad Addis Abeba, due giorni fa Jose Eduardo dos Santos, presidente dell’Angola e della Conferenza dei Paesi dei Grandi Laghi, aveva annunciato che un accordo tra le due parti era vicino e che la pace sarebbe stata a breve ristabilita.
Nonostante questo, secondo le recenti dichiarazioni di Ivan Simonovic, vicesegretario generale delle Nazioni Unite per i diritti dell’Uomo, l’Onu sarebbe in possesso di informazioni che attesterebbero l’arruolamento dei cosiddetti bambini soldato come combattenti.
Nel suo comunicato Simonovic ha a anche parlato di “assassini di massa, esecuzioni sommarie, distruzioni su vasta scala e saccheggi” ma non ha attribuito né alle forze governative né ai ribelli di Machar la responsabilità di questi crimini; la guerra che si è scatenata per ragioni politiche ha inoltre, in alcuni casi, assunto i caratteri di un conflitto etnico tra i Dinka, il gruppo più numeroso e a cui appartiene Kiir, ed i Nuer, l’etnia di Riek Machar.

da Notizie Geopolitiche



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