Sudan: condannata a morte partorisce dietro le sbarre

Creato il 27 maggio 2014 da Nicola933

Meriam Ibrahim, 27 anni, condannata a morte per apostasia, questa notte ha dato alla luce il suo secondo genito, Maya.

Negata l’autorizzazione ad uscire dal carcere, la donna ha partorito nell’ ospedale interno alla struttura. La condannata è detenuta dietro le sbarre da ben quattro mesi, insieme al suo primo genito di soli 2 anni.

Meriam è stata condannata all’impiccagione il 15 maggio scorso per non aver rinunciato al culto della religione cristiana. Il magistrato, Abbas Mohammed Al-Khalifa, che ha emesso la sentenza ha previsto ulteriormente la pena di 100 frustate per adulterio, perché sposata con un cristiano in un matrimonio non considerato valido dalla “Sharia”. La donna è nata da un padre sudanese, musulmano, e da un madre etiope, ortodossa. Abbandonata dal padre a soli 6 anni, ha coltivato la fede cristiana per il resto dei giorni.

Meriam, dopo l’ accusa, ha avuto tre giorni per riflettere sulla rinuncia alla fede cristiana, ottenendo anche un confronto di trenta minuti con un imam entrato nell ‘aula del Tribunale; la donna è rimasta ferma sulle sue posizioni: «Sono cristiana e mai ho commesso apostasia». Ma la legge sudanese è di tutt’ altro avviso: essendo nata da un padre musulmano, anche ella è considerata della medesima religione.

L’ arrivo del secondo bambino ha siginificato una posticipazione per altri 2 anni dell ‘esecuzione della sentenza. Intanto i legali della prigioniera hanno opposto ricorso presso la Corte d’Appello di Bahri e Sharq Al Nil; sono determinati a ricorrere alla Corte costituzionale sudanese e al Corte Suprema, nel caso di esito negativo sulla revisione del processo.

Amnesty International ha definito «ripugnante» che una donna possa essere condannata a morte per la sua fede religiosa, o frustata perché sposata con un uomo di religione diversa.

La vicenda non ha lasciato inattive le ambasciate occidentali a Khartum: «Chiediamo al governo del Sudan»- si legge in un comunicato diffuso dalle rappresentanze di Usa, Gran Bretagna, Canada e Olanda- «di rispettare il diritto di libertà di religione, compreso il diritto di ciascuno di cambiare la propria fede o le proprie credenze, un diritto che è sancito dal Diritto internazionale e dalla stessa Costituzione “ad interim” sudanese del 2005».