Sudan: il drammatico confine tra Nord e Sud.

Creato il 09 febbraio 2012 da Basil7

di Beniamino Franceschini

Una scuola cristiana bombardata sui Monti Nuba, nello Stato del Kordofan meridionale. | © Associated Press

Sono passati sette mesi dall’indipendenza del Sudan del Sud, ma ancora tra Juba e Khartoum non ci sono segni positivi d’intesa. Dalla fine del 2011, anzi, la tensione nella regione si è intensificata ulteriormente, raggiungendo livelli preoccupanti nelle ultime settimane. Tra il Nord e il Sud, infatti, restano ancora da definire questioni numerose e complesse: il recente fallimento dei colloqui sotto la mediazione del già presidente sudafricano, Thabo Mbeki, propone il rischio di un deterioramento del fragile equilibrio.

L’argomento principale è senz’altro l’accordo petrolifero. Il Sud, infatti, ha i giacimenti e le strutture estrattive, ma non ha alcuno sbocco sul mare. Il progetto d’intesa prevedeva che Juba potesse far transitare il petrolio verso Port Sudan al prezzo di un dollaro al barile, impegnandosi, contestualmente, a versare al Nord $2,6 miliardi per sostenere il ripianamento del suo deficit di bilancio. Bashir, tuttavia, è stato inamovibile, pretendendo che il Sud pagasse per il passaggio del petrolio 36 dollari al barile: respinta inevitabilmente la richiesta, il Presidente ha confiscato risorse petrolifere che Juba ha quantificato in oltre 800 milioni di dollari. In risposta, il Sud prima ha bloccato la produzione in novecento pozzi di petrolio, quindi ha annunciato di aver concluso un accordo con il Kenya per il trasporto dell’oro nero verso Mombasa tramite un oleodotto che sarà pronto entro un anno.
Altre problematiche riguardano la spartizione dei debiti, lo status dei rispettivi cittadini che abitano oltre confine e le reciproche accuse circa il sostegno ai gruppi combattenti nelle regioni del Kordofan, del Darfur e del Nilo Blu.

Proteste a Juba dopo la confisca del petrolio del Sud Sudan da parte del Nord. | © Hereward Holland and Ulf Laessing/Reuters

Ad aumentare la pressione è anche il contrasto d’opinioni tra Bashir e il suo Stato Maggiore. A gennaio, infatti, il Presidente ha incaricato alcune centinaia di ufficiali di preparare un piano d’azione per un’eventuale guerra contro il Sudan del Sud. I militari, tuttavia, hanno replicato che un conflitto con Juba non solo non sarebbe sostenibile dal Paese, ma, addirittura, potrebbe essere del tutto controproducente, giacché da un lato le Forze Armate sono indebolite da anni di corruzione e arruolamento di personale condotto col solo scopo di creare posti di lavoro, dall’altro lato già 60mila soldati sono impegnati nella lotta ai gruppi di insorti. Dal maggio del 2011, infatti, Bashir ha ordinato la ripresa su ampia scala dell’offensiva contro le forze ribelli di al-Hilu, attestate sui Monti Nuba (Kordofan meridionale), e contro il governatore (eletto) del Nilo Blu, Malik Agar. Le operazioni sono entrambe fallite dopo aver causato la morte di centinaia di civili, ma ancora prosegue il blocco dei rifornimenti, viveri e medicine comprese. A novembre, quindi, gli oppositori hanno costituito un unico fronte contro Bashir, il quale ha contestato al Sud Sudan l’appoggio ai dissidenti, accusa che è stata sostenuta addirittura dallo stesso Obama. In questo contesto, il Presidente del Nord ha trovato buon incentivo all’azione anche nell’uccisione di uno dei capi degli armati del Darfur, Khalil Ibrahim, che, in contatto con Gheddafi, è stato probabilmente individuato dai sudanesi su indicazione del governo di transizione libico.

La contrarietà dei militari alla guerra con Juba è legata anche alla profonda crisi economica e sociale del Sudan: il deficit di bilancio è a livelli elevatissimi e la secessione di luglio ha privato Khartoum di oltre l’80% dei giacimenti petroliferi. Il Paese, inoltre, è attraversato da una diffusa carestia che ha dimezzato il raccolto di cereali e portato decine di migliaia di persone alla fame e alla morte, il tutto mentre le truppe governative reprimono le rivolte nel sangue e i gruppi islamistiagiscono attivamente a sostegno del Presidente.

Omar al-Bashir, presidente del Sudan (a destra) e Salva Kiir, capo di Stato del Sudan del Sud (a sinistra). | © Yasuyoshi Chiba/AFP/Getty Images

Da un punto di vista internazionale, la Cina, in questo periodo, sta allentando i rapporti con Bashir in seguito all’incapacità di Khartoum di proteggere, anche fisicamente, gli interessi della Repubblica Popolare: i vari rapimenti di cittadini cinesi, insieme con la perdita da parte del Nord di molti siti estrattivi, spingono Pechino a una maggiore oculatezza nella gestione delle relazioni.
Gli USA, da parte loro, sembrano intenzionati, invece, a prestarsi a una mediazione tra Nord e Sud qualora la situazione degenerasse. Obama è intervenuto affinché Juba interrompesse il sostegno ai ribelli del Nord, reagendo molto lentamente e senza atti rilevanti alla nuova crisi umanitaria del 2011, ma avviando subito i contatti con entrambi i Paesi non appena il Sudan del Sud ha bloccato novecento pozzi petroliferi in segno di protesta contro Bashir. Washington tenterà una conciliazione mettendo sul tavolo i due temi più spinosi, ossia petrolio e spartizione dei debiti: qualora, tuttavia, non si riuscisse a evitare il conflitto, con ampia probabilità gli Stati Uniti interverranno a fianco del Sud, magari, considerata la volontà di Juba di non avere truppe straniere sul proprio territorio, operando con aviazione e forze speciali.

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