La regista Sarah Gravon, dunque, si ritrova a dover affrontare una tematica assai complessa, non solo perché i processi storico-sociali che riguardano l’emancipazione femminile necessitano di un’analisi accurata ma anche perché gli stessi sono ancora legati a problematiche che nella società contemporanea si presentano sotto un aspetto certamente meno evidente ma non per questo meno pericoloso. Purtroppo nel film tutto questo viene ridimensionato a causa dell’eccessiva veemenza ideologica che prende il sopravvento su tutti gli aspetti della pellicola e arrecando a quest’ultima una serie infinita di difetti quali, ad esempio, la piattezza e/o prevedibilità dei personaggi, il più totale anonimato della regia e uno script a tratti didascalico e a tratti mutilo.
Appare preoccupante come il motore dei difetti del film sia un approccio enfatico e incurante della necessità di analisi richiesta dall’argomento in questione, conducendo verso un manicheismo – basti notare che i personaggi positivi sono esclusivamente le donne mentre gli antagonisti sono tutti caratteri maschili – che definire auto-referenziale sarebbe riduttivo. Tutto questo mentre l’evoluzione sottocutanea/neo-liberista compiuta dalla società patriarcale agisce indisturbata sotto gli occhi di chi è troppo impegnato ad alzare inutili polveroni che offuscano la vista e impediscono di osservare la realtà dei fatti. Antonio Romagnoli