Il passato ritorna e attualizza il presente, oggi più che mai. La lotta per l’emancipazione legata al riconoscimento delle facoltà civili del genere femminile, in un’ottica di parità dei diritti con l’uomo, è il cardine attorno a cui ruota l’intenso Suffragette, il nuovo lavoro della regista britannica Sarah Gavron, al suo terzo lungometraggio dopo il fortunato esordio nel 2007 con Brick Lane e il documentario Village At The End Of The World.
Determinate a dar voce ad un dramma storico di grande risonanza, Carey Mulligan, Helena Bonham Carter e Meryl Streep si uniscono per vestire i panni di un gruppo di donne che misero a repentaglio la propria vita per portare a termine un percorso di integrità e indipendenza, condotto con tenacia e speranza in un’epoca in cui lo Stato era cieco e indifferente davanti ad ogni tipo di cambiamento politico e istituzionale.
Regno Unito, 1912. Maud Watts (Mulligan) è una giovane madre e un’integra lavandaia, obbligata a lavorare fra i continui insulti e i maltrattamenti del padrone. Un giorno resta coinvolta in una rivolta femminista dove riconosce Violet Miller (Anne-Marie Duff), una collega che la spinge ad appoggiare la causa per l’ottenimento del voto da parte delle donne. Maud si trova così a dover affrontare una scelta che cambierà per sempre la sua esistenza: continuare ad essere oppressa dal marito e dal datore di lavoro o mettere in pericolo la propria vita per ottenere la “dignità” che gli spetta. Aiutata da Edith Ellyn (Bonham Carter), moglie di un farmacista londinese, e influenzata dalle parole della venerata Emmeline Pankhurst (Meryl Streep in una fugace apparizione), sarà più volte arrestata dal caparbio ispettore di polizia Steed (Brendan Gleeson) e costretta a perdere ciò che di più prezioso le è rimasto: suo figlio.
Grazie ad un approccio sincero e risoluto, slegato da forzature ideologiche che rischiano di mettere sul piedistallo i protagonisti creando un senso d’insofferenza nel pubblico, il film manifesta una chiara e lucida inclinazione nel raccontare con coraggio e perseveranza il processo di svolta e la liberazione del genere femminile dalle catene metaforiche che in quel periodo imprigionavano la donna in una condizione di diniego sociale e discriminazione sessista. Il dipinto ruvido e plumbeo della città di Londra, priva di caricature estetiche e formalismi espressivi, fa da sfondo al contesto di appartenenza e al ritaglio storico narrato dal regista, in cui emerge in maniera evidente la figura di Maud, suffragetta per vocazione ma al tempo stesso madre e moglie. Il personaggio di Carey Mulligan testimonia come il coinvolgimento in un movimento di ribellione non sia un motivo di inevitabile distacco, a livello affettivo, dal focolaio familiare, che Maud cerca in ogni modo di proteggere e salvaguardare. A fungere da contraltare maschile troviamo l’ispettore Steed, magistralmente interpretato da Brendan Gleeson, che sembra comprendere la situazione femminile ma non vuole schierarsi contro la nazione per non perdere il posto di lavoro; un uomo che possiede nobili sentimenti ma troppo timido per esternarli e deciso a sopprimerli per il quieto vivere.
Strutturato secondo una logica precisa, Suffragette è un ritratto struggente e riflessivo che non si nasconde davanti alla crudezza o alla violenza mostrata nelle immagini, riuscendo a manifestare il lato onesto e sincero di una ricostruzione basata su fatti accaduti senza sfociare nella banale retorica e nella comune demagogia.
Andrea Rurali & Alberto Vella
Recensione pubblicata anche su CineAvatar.it