Sughero e arte rupestre a Passaggio a NordOvest

Creato il 25 marzo 2012 da Ilsegnocheresta By Loretta Dalola

Alla ricerca di popoli, storie e avventure Passaggio a Nord Ovest approda in Sardegna dove si concentra 85% dei sughereti, una ricchezza ambientale e economica da difendere.  Il sughero naturale che  è il costituente principale della scorza di grossi alberi, in particolare della Quercia da Sughero (Quercus suber), sulla quale arriva a formare un rivestimento di parecchi centimetri.  E’ un materiale che, oltre all’elevato potere isolante, da prova di ottima traspirabilità e non è attaccabile da parassiti e muffe, purché si tratti di pura polpa di Sughero. Grazie alle sue caratteristiche di duttilità, leggerezza ed elasticità viene utilizzato nella produzione dei tappi per vini di qualità, nell’edilizia, nell’isolamento acustico, nell’industria dell’abbigliamento e calzaturiera, nell’arredamento e nell’oggettistica per la casa e nell’artigianato artistico in cui vengono creati oggetti e souvenir tipici destinati al turismo e altri oggetti d’uso comune. Alimenta ogni anno un giro d’affari di circa 60 milioni di euro con i suoi 20 miliardi di tappi/turaccioli  prodotti ogni anno.

E tutto nasce da un gesto antichissimo, frutto di millenni di esperienza. Lo scorzino decortica la corteccia, è la fase iniziale del ciclo di trasformazione del sughero, consta nel distacco del sughero dal tronco e viene effettuata tra maggio e agosto quando l’albero rilascia facilmente la corteccia sugherosa, senza provocare danni ai tessuti vegetali sottostanti. Le tavole vengono messe a stagionare per 14 mesi, qui perdono umidità e si compattano. Viene bollito per la sterilizzazione e pressato per renderlo docile alla lavorazione. Tagliato in listelle si trasforma attraverso macchine che, ce lo riconsegnano sotto forma di tappo o turacciolo, pronti per il mercato e per le nostre tavole. Il sughero è una materia naturale sempre viva, durevole nel tempo e riciclabile infinte volte, ecosostenibile ed ecologica, una risorsa da valorizzare.

Dai sughereti  alla preistoria attraverso i dipinti sacri realizzati all’interno di grotte paragonabili agli affreschi delle nostre cattedrali, che ci raccontano miti  eleggende dell’era glaciale. Verso la fine del secolo scorso vennero scoperte nella Spagna settentrionale e nella Francia sud occidentale alcune grotte, rimaste inaccessibili per migliaia di anni, che celavano al loro interno una straordinaria quantità di “opere d’arte” risalenti all’era glaciale. Di tutti i ritrovamenti, non c’è dubbio che il più famoso ed affascinante sia quello di Altamira. Gli “affreschi” sul soffitto sono composti da 25 raffigurazioni policrome; tra i colori domina il rosso ocra, seguito dal bruno e dal nero. Gli animali sono rappresentati a grandezza quasi naturale. Scene che lasciano senza fiato,  soprattutto bisonti, ma non mancano veri e propri schizzi di straordinaria finezza raffiguranti cerve, stambecchi e bovidi. Veri capolavori che gli uomini dell’era glaciale hanno realizzato, sfatando il mito di esseri, rozzi e selvaggi.

La loro principale attività era la caccia che permetteva la sopravvivenza. Ingraziarsi gli dei per ricevere in cambio il cibo era lo scopo di queste raffigurazioni. Cercavano protezione per il mondo reale, nel sovrannaturale e nelle grotte, dimora degli dei, armati di coraggio, si addentravano per celebrare riti e sacrifici.  Gli uomini che hanno concepito questi capolavori erano prevalentemente nomadi, vivevano di caccia, pesca e raccolta . Dipendevano in tutto e per tutto dalla natura e dagli animali, ai quali attribuivano qualità soprannaturali. Gli spiriti degli animali uccisi erano venerati  attraverso la pittura e ringraziati per il cibo concesso.

La tecnica utilizzata per la colorazione delle immagini era costituita dall’uso di carbone di legna come “gessetto”, mentre le ocre erano tratte direttamente dalla terra lì disponibile. Gli “artisti” tracciavano dapprima il contorno con sottili linee nere, e poi lo modellavano e lo riempivano coi colori. In certi casi, l’occhio, le corna o le narici dell’animale venivano incisi in veri e propri rilievi con bulini, ricavati probabilmente da pietre più dure. Talvolta le pitture erano lavate dopo la coloritura, per ottenere un raffinamento dei successivi passaggi di colore ed effetti di luce particolari. Particolarmente suggestivi i dipinti delle mani, che possono essere positive (stampa diretta della mano impregnata di colore) o negative (contorni di mani). Queste ultime sono la maggioranza, e la tecnica usata per la loro realizzazione è d’elevato interesse storico perchè anticipa la pittura a spruzzo. Pare infatti che la pittura venisse spruzzata attraverso un tubicino sulla mano appoggiata alla parete, lasciando cosí il contorno sfumato che possiamo vedere ancora oggi. Ma c’è di più: il soffitto della grande volta non è liscio ed uniforme, ma possiede sporgenze e cavità; i ”pittori” cantabrici hanno saputo inserire questi elementi nei corpi degli animali, in zone come la groppa o i fianchi, per ottenere il massimo realismo nella rappresentazione.

Guardando l’ arte della Preistoria con i nostri occhi moderni, riusciamo a scorgere tutte le caratteristiche che fanno dell’ arte della preistoria un’ arte contemporanea : gli animali sono perfettamente riconoscibili , trasmettono forza , energia , vitalità, sono tridimensionali, a volte diventano astratti. Altamira è stata dichiarata patrimonio dell’umanità dall’UNESCO nel 1985, perché rappresenta uno dei ritrovamenti piú significativi dell’arte rupestre preistorica. L’ Arte del Paleolitico è così diventata una finestra su un mondo perduto.

“Da Altamira in poi tutto è decadenza ” diceva Pablo Picasso e ” nessuno di noi è in grado di dipingere così bene”.


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