"Sui fondali della California una rete di Tunnel e Gallerie?"

Da Risveglioedizioni
Rispetto alcuni interventi pubblicati precedentemente ed alle immagini collegate, in questo intervento, si osserva qualcosa che risulta estremamente difficile da associare a un qualsiasi fenomeno geologico o vulcanico ne tanto meno ad interpretazioni soggettive di quanto si osserva...
Il presupposto è quello di considerare come genuino il materiale e attendibili le fonti da cui provengono le immagini che costituiscono, quello che nonostante le ovvie limitazioni, si può considerare come il miglior sistema geografico globale attualmente disponibile e fruibile liberamente, ben inteso, che quanto reso disponibile dai servizi di Google Map e Google Heart, non siano la conseguenza di una qualsivoglia alterazione dei dati satellitari, questo inevitabilmente cagionerebbe grave danno di credibilità ed affidabilità delle aziende e del loro personale. Veniamo al dunque della questione di questo intervento; da quello che si può osservare sia in Google Map che Gogle Heart, nell’area del nord pacifico a circa un centinaio di chilometri dalle coste della penisola californiana che costituisce la sponda occidentale del Golfo della California, più precisamente nei pressi delle isole ‘San Benito” si osserva quello che, come detto in precedenza risulta essere difficilmente spiegabile o riconducibile a qualcosa di naturale data la complessità, l’articolazione e l’estensione di quelle, definiamole in modo estremamente vago “strutture”; in questo caso però, la cautela espresse nei precedenti interventi decade, poiché da quello che si vede, emerge in modo prorompente che quelle strutture, in qualche modo, debbano avere avuto o avere, una anche se ignota, funzionalità. Vediamo di comprendere ed inquadrare meglio la natura di queste strutture; partiamo dal presupposto che siano manufatti umani, funzionali ad un non ben identificato progetto governativo, para governativo o internazionale che sia, ebbene, tralasciando le specificità e le problematiche logistiche e tecnologiche per realizzarle, data, l’estensione e le dimensioni, l’impiego di personale e mezzi e la conseguente intensa attività, non sarebbe certo passata inosservata, se non agli abitanti della costa o delle isole circostanti, quantomeno agli antagonisti del così detto blocco occidentale. E’ evidente che strutture di quelle dimensioni e in relazione all’area interessata al “fenomeno”, (da un calcolo approssimato superiore ai 150.000 chilometri quadrati), le opere avrebbero richiesto, quantomeno diversi decenni ed un coverup che per quanto rigido ed inderogabile, risulterebbe di difficile applicazione su un numero di addetti inimmaginabile; inevitabilmente, proprio per l’ingente massa di personale, qualcosa sarebbe trapelato per quanto duro possa essere il maglio. Sempre in relazione alle dimensioni ed estensioni di queste strutture, emerge comunque la problematica dell’approvvigionamento delle materie, immaginando che sia stata sviluppata una tecnologia in grado di sfruttare ed utilizzare le materie prelevate direttamente dai fondali, questo conseguentemente avrebbe avuto effetti, visivi e qualitativi delle acque circostanti e sull’ecosistema, sia in prossimità dei “cantieri” che più in generale sull’intera area i cui effetti non sarebbero stati inosservati ne inosservabili ne sul breve ne sul lungo tempo. La prospettiva, per quanto fantascientifica possa essere, potrebbe avere una sua validità anche se dalle sfumature orweliane, ma trovo estremamente improbabile, pur in possesso delle conoscenze tecnologiche in grado di “cementificare” sotto il livello del mare e a profondità che comunque non sono trascurabili, che tali strutture siano potute essere state realizzate nell’arco di cinquanta, sessanta, settanta o cento anni; dunque se l’ipotesi umana ha buone possibilità di essere scartata, altre ipotesi inevitabilmente si ricollegano ad un passato remoto e dimenticato della storia umana.  Ennesimi “indizi” di una o più civiltà antecedenti quelle conosciute e note con un bagaglio tecnologico presumibilmente e nettamente superiore a quello attualmente raggiunto dalla società umana odierna? Se teniamo in considerazione l’ipotesi del dislocamento della crosta terrestre ed il conseguente disgelo delle calotte polari, l’edificazione di tali strutture sarebbero state realizzate “all’asciutto” ed in funzione di rifugi o “arche” per uomini ed animali, nell’imminenza dell’inevitabile catastrofe naturale; questa ipotesi sembra adattarsi meglio alla sequela di indizi sparsi per l’intero globo terracqueo di civiltà antiche e quantomeno assonante, se non in sintonia perfetta, con quanto riportato in testi sacri e leggende popolari di tutte le culture, in cui si fa riferimento per l’appunto al diluvio universale o comunque ad un evento che per descrizione ed effetti ne è assimilabile. Dall’immagine del Golfo della California qui sopra, è possibile osservare che strutture analoghe sono presenti sul fondale, presumibilmente si tratta dell’estensione dei tunnel e delle gallerie presenti nei pressi delle isole di San Benito e che sembrerebbe che siano sotterranee alla stessa penisola e svilupparsi fin’anco sotto la terra ferma. Un ulteriore ipotesi sulla natura di queste strutture è che esse abbiano un marchio “made in Alienland” e conseguentemente per quanto concerne, le modalità di edificazione, gli scopi ed il tipo di impiego, se ne può immaginare qualunque cosa, in questo caso però occorre farsi perlomeno un paio di domande, la prima è come mai esseri tecnologicamente avanzati ed ad un livello dieci o cento volte superiore il nostro abbiano stabilito una base di quelle dimensioni in una zona cosi altamente instabile sotto il profilo geologico, non dimentichiamoci che si è praticamente a ridosso della più che nota faglia di Sant’Andrea; piccola considerazione, che nonostante l’alta tecnologia, in fatto di placche tettoniche, faglie e terremoti ne sappiano tanto quanto noi? Comunque risulta curioso che una base aliena sia ubicata proprio in un’area con alte probabilità di essere distrutta a seguito di un evento geologico non del tutto ipotetico e da lungo tempo “previsto”; si potrebbe ipotizzare che almeno sulla “lungimiranza” siano uguali all’umanità in quanto, la zona, non è propriamente desertica, una ulteriore “boutade” di fantasia, e se quei tunnel, quelle gallerie, fossero una sorta di “tiranti” e “ammortizzatori” realizzati dagli extraterrestri per “attutire” l’impatto degli effetti del “Big One”? Una ipotesi certo, ma in fatto di alieni, chi può conoscerne prerogative ed intenti. La seconda domanda che ci si deve porre è plausibile che queste strutture siano passate inosservate al più grande e tecnologico sistema difensivo del mondo?  Probabilmente no, il Governo e le strutture militari sicuramente sono informate e a conoscenza della loro esistenza, anche se magari, come il resto delle persone ne ignora scopi e fini, anche perché di fatto queste strutture si trovano ad un migliaio di chilometri di distanza da una della più importanti basi navali della marina militare degli Stati Uniti ed inoltre secondo alcune voci, nel deserto del Nevada in una zona ovviamente Top Secret, si troverebbe uno dei magazzini più grande se non il più grande in assoluto, delle armi termonucleari detenute dagli States. Quindi se effettivamente il sistema di difesa degli Stati Uniti non ne fosse a conoscenza, per quanto non sia un Cittadino Americano, sarei altamente preoccupato, per i risvolti che ciò comporterebbe e per le non tanto ipotetiche conseguenze di un’eventuale ostilità aliena. Voglio “stemperare” i toni foschi che l’intervento sta acquisendo, formulando un’altra ipotesi sulla natura e l’utilizzo di queste gallerie o condotte, ed è proprio in funzione del termine condotta, che riprendo l’ipotesi delle civiltà antidiluviane per spazzare via, quella della “minaccia aliena”; è possibile ipotizzare che in un remoto passato il golfo della California fosse stato un mare chiuso e che fosse sfruttato a fini idroelettrici? Sotto questa luce, quelli che sembrano tunnel e gallerie acquisterebbero un senso tecnico pratico coerente, anche se rispetto la tecnologia e la conoscenza odierna, la disposizione e la conformazione di tali condotte, risultano simili al percorso ieratico di una formica; forse proprio l’insolita conformazione permetteva l’incremento dei fenomeni pressori e l’amplificazione degli effetti idro-termo-dinamici riscontrati nel tubo di Ranque-Hilsch. Concludendo, proprio per la conformazione particolare di quello che si osserva, è estremamente, se non impossibile, attribuire a queste strutture un’origine naturale, troppe sono le “precisioni” a finché si possa far passare per naturali colline, “colline” che formano angoli acuti, che curvano in modo regolare e preciso al pari di una curva a gomito di una tubazione, che si innestano l’una nell’altra, che si sovrappongono conservando forma, integrità e continuità per centinaia di chilometri, ignorando di fatto la morfologia del terreno circostante. Cosa sono quelle strutture, aldilà delle ipotesi formulate o formulabili restano comunque parte di un mistero che prima o poi, noi, il modo della scienza e del sapere, delle religioni, dovremo affrontare e confrontarci; sicuramente, dogmi scientifici e religiosi, si dissolveranno, la scienza e le religioni si leccheranno le ferite, ma certamente si apriranno orizzonti nuovi e più vasti di quello che mai si potrà immaginare, sempre se si abbia la ferma volontà di affrontare ed accettare la verità su chi siamo, dal dove veniamo, ma soprattutto dove vogliano andare, sia come specie, che come individui. Fonte: https://phoo34.wordpress.com