Suicidi in carcere, un problema grave che si trascina da anni. Anche la polizia penitenziaria chiede aiuto alla politica, ma è tutto inutile

Creato il 10 gennaio 2012 da Lupoantonino

Il nuovo anno dei detenuti italiani non poteva cominciare in modo peggiore. Nella notte di Capodanno, infatti, si è suicidato un trentasettenne rumeno rinchiuso alle Vallette di Torino per furto e da tempo in attesa di giudizio. Aurel Contrea si è impiccato con una corda rudimentale all’interno delle quattro mura della sua cella. Altri due hanno tentato il suicidio nelle carceri di Vigevano e Vasto; un altro è morto nel penitenziario di Trani per cause ancora in corso di accertamento. Secondo i suoi familiari non era in condizione di poter sopportare il regime carcerario. Nel 2011 ci sono stati 183 morti in carcere, di cui 66 suicidi.
Il sovraffollamento delle carceri è diventato insostenibile, un problema annoso di cui tutti ne parlano e molti fanno proclami più che altro

propagandistici. L’unica verità è che  esistono più di 68 mila detenuti stipati in istituti carcerari dove la capienza è di non più di 45 mila.

Dobbiamo pensare che quello dei suicidi in carcere sia un tema che la politica tende a nascondere, come del resto fa con tutti i problemi scottanti. Solo che non c’è più tempo per girarsi i pollici mentre la gente muore. Perché i detenuti hanno sì commesso dei reati anche gravi, ma sono persone prima di tutto, e il carcere non è l’equivalente di una fogna. La sua funzione è di creare le condizioni per la riabilitazione alla vita civile. Se invece porta alla loro morte significa che ha fallito il suo compito.
Gli organismi giudiziari che lavorano a stretto contatto con i reclusi conoscono bene il problema, se è vero che sono stati tantissimi i richiami al governo ma che sono rimasti inascoltati. E che non provengono solo dal partito radicale, che pure è in primissima linea nel denunciare la persistente violazione dei diritti umani nelle carceri italiane. Il grido di aiuto rivolto alla politica è venuto questa volta da Leo Beneduci, segretario generale dell’Osapp, il sindacato della polizia penitenziaria. È, in pratica, la polizia che attacca il governo, e questo è grave. Significa che non si tratta di temi secondari, anche se i media fanno di tutto per farli apparire tali.

L’assenza di dibattito ne è il segno tangibile: il messaggio lanciato la scorsa estate dal Presidente della Repubblica Napolitano è caduto nel vuoto. Il capo dello Stato chiedeva di mettere fine alla vergogna di un sistema medioevale e criminale, e i radicali erano riusciti in pieno agosto a raccogliere le firme per un’autoconvocazione del Parlamento che desse il via ad una discussione approfondita su provvedimenti come l’amnistia e la riforma della giustizia. Una discussione al Senato c’è stata, alla Camera non ancora.
Nonostante le aperture del Ministro Severino siamo ancora in alto mare. E  intanto è iniziato un nuovo anno. Come peggio non poteva.