Nel dicembre dell'anno scorso, l'edizione italiana dell'"HuffPost", riportò un'intervista che Riccardo Muti rilasciò al "Corriere della sera" e che contiene alcune lucide riflessioni che, per quanto dolorose, sono lo specchio di quello che sta accadendo alla cultura Italiana nel suo complesso.
A nominargli Bocelli o Allevi, dice solo: "Ognuno deve fare il suo mestiere. Io ho molto rispetto per le canzonette, per il pop. Ma è appunto un altro mestiere".
Il Maestro Muti, si dilunga poi sul ruolo marginale che, oggi, la musica del Bel Paese ha a livello internazionale, soprattutto nelle Nazioni d'oltralpe. E dichiara:
Così anche all'estero accade che non prendano sul serio i nostri grandi. Bellini, Donizetti, Rossini, persino il primo Verdi non vengono eseguiti con il religioso rispetto riservato a Mozart, a Strauss, a Wagner; li si affronta con sussiego o in modo scanzonato.
Infine, conclude amareggiato:
Pavarotti è stato il più grande dell'ultimo mezzo secolo non solo per la voce, ma perché cantava con quel misto di gioia e di malinconia che è nella nostra natura. Purtroppo l'Italia oggi non riesce più né a soffrire, né a sorridere".
Nelle parole del grande direttore d'orchestra viene descritto il triste declino della nostra cultura e l'inesorabile svendita che ne stiamo operando dentro e fuori i nostri confini.
I Governi cambiano, ma la scure sulla cultura, su quella base sopra la quale dovrebbe poggiare il nostro futuro, cala inesorabile ogni volta. Quasi come se - non voglio pensarlo - ci fosse un piano preciso per impoverire sistematicamente il nostro Paese.
Ma, ovviamente, la mia opinione vale solo pochi centesimi e nulla più. In fondo, "sono solo canzonette!".
Alla prossima!