E già questa è una conquista.
Ho capito come si esplica il dolore, che sentiero percorre il lutto.
I primi giorni si piange, come bambini. Per nulla. Si guarda il telefono o una molletta o quel maglione o semplicemente ci si ferma immobili e si piange.
Poi si piange sempre meno e il dolore affonda, dalla superficie sprofonda negli abissi del proprio io interiore. Ma atterrando lì sotto non stravolge, è questa la cosa strana. Quel dolore lì trova un posto che era il suo. Solo il suo. E questa scoperta genera conforto. Non so perché ma avviene così.
Ci vuole tempo. Lancette che girano, giorni che rotolano.
Si vorrebbe velocizzare ma è impossibile: bisogna solo dare al tempo il tempo.
Ci sono delle cose che aiutano. E che servono. A volte fare delle attività che ti ricordano la persona a cui hai tanto voluto bene, ma facendole tue e ricominciando a renderle utili a te stessa.
Il K. mi dice, lui così diffidente nei confronti dell'eccessivo pragmatismo, fai. Fermati, piangi e ricomincia a fare. Sì. Aiuta.
Poi se quel fare è collegato a un qualcosa che cresce, beh allora...
Queste sono le cose belle. E non è paglia.