Ricerchiamo spasmodicamente l’equilibrio,lo vediamo come punto d’arrivo,come scopo giustificatore delle nostre azioni,come sinonimo di felicità. Ingannevole illusione che ci spinge a comprare riviste e manuali d’autoaiuto,ricolmi di insegnamenti e regole per raggiungere una stabilità emotiva,lavorativa,sessuale,economica,intestinale,sociale. Distribuiamo così,con grande fatica e dedizione,tutti i pesi della nostra vita,disponendoli in modo che non ci schiaccino:questo, chiamiamo equilibrio. Arrediamo la nostra esistenza calcolando il peso specifico di ciascuna emozione,collochiamo ordinatamente le occasioni come polverosi suppellettili,valutiamo con pidocchiosa avarizia il costo di ogni nuovo arredo.
E,ammesso che all’equilibrio ci arriviamo,tutto dovrà rimanere così,immutato. Fermo. Statico. Ma la vita va avanti,la Vita scorre,la Vita dà e toglie. E tu te ne resti li,in equilibrio,perpetuando un’immobile lotta per mantenerlo. Non puoi togliere nè aggiungere nulla-se non in egual misura- o i pesi e contrappesi non saranno più disposti con maniacale efficacia e ti schiacceranno. L’equilibrio dovrà essere ricostruito ancora e ancora e ancora.
Io scelgo il caos.
Scelgo quell’informe e tumultuoso tutto,in cui le grandezze della vita si dispongono senza ordine nè baricentro. Scelgo il caos dove le parole non dette pesano quante quelle urlate,dove l’aggiunta e la sottrazione non comportano cedimento,ma solo aumento o diminuzione;dove la recisione del contrappeso legato ad una persona non provoca il collasso,ma solo un tonfo e tutto rimane disordinatamente inalterato.
V.