Sul mito della sovranità nazionale

Creato il 06 gennaio 2016 da Rosebudgiornalismo @RosebudGiornali

Xi Jinping

di Michele Marsonet. Il concetto di “sovranità nazionale” ha perduto, negli ultimi decenni, gran parte del prestigio di cui in precedenza godeva. Se si esamina la strategia internazionale degli Stati Uniti e della Nato a partire dalla caduta del Muro di Berlino in avanti, è facile accorgersi che in parecchi casi la sovranità di alcuni Paesi è stata violata senza problemi per abbattere governi o dittatori considerati ostili.


In altre situazioni altrettanto problematiche non si è invece ritenuto opportuno intervenire con le armi. Né vale appellarsi ai cosiddetti “motivi umanitari”. Quest’ultimi, infatti, sono spesso serviti a giustificare – addirittura a posteriori – un intervento armato che ignorava la sovranità nazionale, mentre in altre occasioni l’emergenza umanitaria non ha spinto gli USA e i loro alleati a scendere sul terreno.

Gli esempi, in un caso e nell’altro, abbondano. L’attacco Nato nel Kosovo fu ufficialmente motivato dall’esigenza impellente di bloccare la pulizia etnica destinata a sfociare nel genocidio. Fu così che alcuni governi occidentali decisero di violare senza porsi problemi la sovranità di un altro governo, quello serbo.

Solo in un secondo momento, a bocce ormai ferme, si iniziò a capire che la Serbia aveva indubbiamente delle grandi responsabilità nei massacri, ma di certo non era l’unica. I croati, al tempo molto appoggiati dalla Germania, erano tutt’altro che innocenti.

Il caso più clamoroso resta comunque quello dei musulmani bosniaci. La pulizia etnica li coinvolse in modo drammatico. Tuttavia anch’essi non erano esenti da colpe e, come si vide ben presto, l’incondizionato appoggio dell’Alleanza Atlantica favorì la massiccia penetrazione di jihadisti sul suolo europeo, con l’arruolamento di un gran numero di combattenti islamici stranieri, veri e propri antesignani dei “foreign fighters” ora presenti in Siria e Iraq.

Quali risultati abbiamo avuto un indebolimento della Serbia, la massiccia presenza di enclaves jihadiste in Bosnia e nel Kosovo, e un rafforzamento del fondamentalismo in un Paese tradizionalmente laico come l’Albania. Queste si chiamano “conseguenze inintenzionali” delle azioni, ma è fuor di dubbio che scelte più ponderate avrebbero evitato l’attuale situazione.

Ulteriori – e clamorose – violazioni della sovranità nazionale si sono verificate con la guerra all’Iraq di Saddam Hussein, motivata dalla presunta presenza di fantomatiche armi di distruzione di massa. E con quello alla Libia di Gheddafi, attaccata senza motivi plausibili (almeno ufficiali). In entrambi i casi ne abbiamo ricavato il rafforzamento prima impensabile del fondamentalismo e l’espansione a macchia d’olio delle tendenze jihadiste.

Stati Uniti e Nato non ritennero invece opportuno intervenire in Ruanda dove l’emergenza umanitaria era ai massimi livelli, forse perché in quel contesto si riteneva che la sovranità nazionale andasse rispettata. Né gli Stati Uniti stanno facendo granché per frenare l’espansionismo di Pechino nel Mar Cinese Meridionale, anche se la sovranità di nazioni quali Vietnam e Filippine viene violata costantemente.

E, allora, è necessario concludere che la reazione americana – e occidentale in genere – dipende dalla forza dell’avversario che si sta fronteggiando. Ji Jinping dispone di ben altri mezzi rispetto a Milosevic, Saddam Hussein e Gheddafi, ragion per cui è meglio fare buon viso a cattivo gioco.

Il succo del ragionamento, insomma, è uno soltanto. La sovranità nazionale, assai impopolare anche nei quartieri alti dell’Unione Europea, è la classica foglia di fico. Invocata quando è utile farlo, trascurata se non conviene prenderla in considerazione. Il che significa che la sicurezza, garantita dagli organismi internazionali, all’interno dei propri confini è ormai un mito. In quanto tale dobbiamo presumere che esista solo se siamo nel posto giusto e le circostanze ci sono favorevoli.