Sul modello femminile Hannah Arendt e sul film. Un ritratto breve.

Creato il 29 gennaio 2015 da Rosebudgiornalismo @RosebudGiornali
di Rina Brundu. Il film è quello del 2012 diretto da Margarethe von Trotta. Il ruolo di Hannah è magistralmente interpretato dall’attrice Barbara Sukowa. Il ritratto della Arendt (1) che emerge è quello di una donna a tutto tondo. Donna che è spirito sommamente intelligente, donna che è animo forte, orgoglioso, capace di lottare, donna in grado di imporre il suo pensiero anche quando fortemente avversato, donna che è moglie, donna che è amante, donna che è studio-filosofia-cultura-capacità-d’azione innegabilmente donna.

Straordinario questo lavoro della von Trotta anche per il background intellettuale e culturale che emerge. Quasi come fosse una stanza, un appartamento-diverso nel nostro mondo che non si capisce se sia luogo proibito agli altri “mortali” o se in fondo sia accessibile a chiunque lo voglia davvero. Qualunque sia la verità Hannah Arendt resta tra le tante altre cose, un grande modello femminile da imitare e uno in grado di fare una differenza. Sostanziale.


1. Hannah Arendt (Hannover, 14 ottobre 1906 – New York, 4 dicembre 1975) è stata una filosofa, storica e scrittrice tedesca naturalizzata statunitense. La privazione dei diritti civili e la persecuzione subìte in Germania a partire dal 1933 a causa delle sue origini ebraiche, unitamente alla sua breve carcerazione contribuirono a far maturare in lei la decisione di emigrare. Il regime nazista le ritirò la cittadinanza nel 1937, quindi rimase apolide fino al 1951, anno in cui ottenne la cittadinanza statunitense.

Lavorò come giornalista e docente di scuola superiore e pubblicò opere importanti di filosofia politica. Rifiutò sempre di essere categorizzata come filosofa, preferì che la sua opera fosse descritta come teoria politica invece che come filosofia politica.

Arendt difese il concetto di «pluralismo» in ambito politico. Grazie al pluralismo, il potenziale per la libertà politica e l’uguaglianza tra le persone si sviluppano. Importante è la prospettiva di inclusione dell’altro, ovvero di ciò che ci è estraneo. Politicamente, le convenzioni e le leggi dovrebbero funzionare per modalità pratiche e livelli appropriati, quindi tra persone ben disposte. Come risultato dei suoi assunti, Arendt si trovò contro la democrazia rappresentativa, che criticò fortemente, preferendole un sistema basato sui consigli o forme di democrazia diretta.

Spesso tuttavia viene studiata come filosofa, a causa delle sue analisi critiche su filosofi come Socrate, Platone, Aristotele, Immanuel Kant, Martin Heidegger e Karl Jaspers, insieme ai maggiori rappresentanti della filosofia politica moderna come Machiavelli e Montesquieu. Principalmente grazie al suo pensiero indipendente, alla teoria del totalitarismo (Theorie der totalen Herrschaft), ai suoi lavori sulla filosofia esistenziale e alla sua rivendicazione della discussione politica libera, la Arendt detiene un posto centrale nei dibattiti contemporanei.

Come fonti delle sue disquisizioni utilizza, oltre che documenti filosofici, politici e storici, anche biografie e opere letterarie. Questi testi vengono interpretati letteralmente e in rapporto con il suo pensiero personale. Il suo sistema di analisi – influenzato da Heidegger – contribuisce a renderla una pensatrice originale, trasversale ai diversi campi del sapere e specialità accademiche.

Biografia

Nata da una famiglia ebraica a Linden, località oggi parte del comune di Hannover, e cresciuta a Königsberg prima (città natale del suo ammirato precursore Immanuel Kant) e Berlino poi, Arendt fu studentessa di filosofia di Martin Heidegger all’Università di Marburgo. Ebbe una relazione sentimentale segreta con quest’ultimo, scoprendone tardi i suoi rapporti col nazismo, da cui si dissociò, non riuscendo tuttavia mai del tutto a cancellare l’amore e la devozione verso il suo primo maestro (v. anche paragrafo relato). Dopo aver chiuso questa relazione, Hannah Arendt si trasferì a Heidelberg dove si laureò con una tesi sul concetto di amore in Sant’Agostino, sotto la tutela del filosofo (e psichiatra) Karl Jaspers.

La tesi fu pubblicata nel 1929, ma, per via delle sue origini ebraiche, nel 1933 le fu negata la possibilità di ottenere l’abilitazione all’insegnamento nelle università tedesche. Nel 1929 sposò il filosofo Günther Anders, da cui si separò nel 1937. Successivamente lasciò la Germania per Parigi, dove conobbe il critico letterario marxista Walter Benjamin. Durante la sua permanenza in Francia, Hannah Arendt si prodigò per aiutare gli esuli ebrei fuggiti dalla Germania nazista. Dopo l’invasione e occupazione tedesca della Francia durante la seconda guerra mondiale, e il conseguente inizio delle deportazioni di ebrei e ebree verso i campi di concentramento tedeschi, Hannah Arendt dovette nuovamente emigrare. Nel 1940 sposò il poeta e filosofo tedesco Heinrich Blücher, con cui emigrò (assieme a sua madre) negli Stati Uniti, con l’aiuto del giornalista americano Varian Fry. Divenne attivista nella comunità ebraica tedesca di New York, e scrisse per il periodico in lingua tedesca Aufbau.

Dopo la seconda guerra mondiale si riconciliò con Heidegger. Durante un processo in cui era accusato di aver favorito il regime nazista testimoniò in suo favore con gesto assai generoso, visto il disinteresse che il suo ex amante manifestò per lei alla proclamazione delle leggi razziali tedesche. Morì il 4 dicembre 1975 in seguito ad un attacco cardiaco e fu sepolta al cimitero del Bard College, in Annandale-on-Hudson, US-NY. Nel 1985 a Parigi si tenne un convegno sulle opere della Arendt organizzato da Françoise Collin, filosofa e saggista belga nonché illustre esponente del Movimento femminista francese; questo ciclo di conferenze aprì la strada ad una innovativa interpretazione del pensiero arendtiano.

I lavori di Hannah Arendt riguardarono la natura del potere, la politica, l’autorità e il totalitarismo.

Nel suo resoconto del processo ad Eichmann per il New Yorker (che divenne poi il libro La banalità del male – Eichmann a Gerusalemme (1963)) Arendt ha sollevato la questione che il male possa non essere radicale: anzi è proprio l’assenza di radici, di memoria, del non ritornare sui propri pensieri e sulle proprie azioni mediante un dialogo con se stessi (dialogo che Arendt definisce due in uno e da cui secondo lei scaturisce e si giustifica l’azione morale) che persone spesso banali si trasformano in autentici agenti del male. È questa stessa banalità a rendere, com’è accaduto nella Germania nazista, un popolo acquiescente quando non complice con i più terribili misfatti della storia ed a far sentire l’individuo non responsabile dei propri crimini, senza il benché minimo senso critico.

Scrisse anche Le origini del totalitarismo (1951), in cui tracciò le radici dello stalinismo e del nazismo, e le loro connessioni con l’antisemitismo. Questo libro fu al centro di molte controversie, perché comparava due sistemi che alla maggior parte degli studiosi europei – e anche a molti statunitensi – sembravano diametralmente opposti.

L’opera però che delinea in maniera esemplare la sua teoria politica venne pubblicata nel 1958 con il titolo Vita Activa. La Condizione umana in cui intende recuperare tutta la portata del politico nella dimensione umana nel tentativo di restituire “una teoria libertaria dell’azione nell’epoca del conformismo sociale”, come rileva Alessandro Dal Lago nella sua Introduzione per l’edizione italiana.

Fonte biografica Wikipedia.

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