Sul perché certi insetti sono fatalmente attratti dalla luce

Da Andreapomella

Il caffè non lo prendo mai, solo qualche volta. Se mi capita di prenderlo lo preferisco amaro. La mattina di solito faccio colazione con tè freddo, fette biscottate e marmellata. Mi siedo al vecchio solido tavolo di casa mia, sotto la luce di due altrettanto vecchie applique che ho ridipinto con la vernice bianca, contemplo il motivo geometrico della tovaglia che ho lasciato sul tavolo dalla cena della sera prima, sposto qua e là qualche oggetto per appagare la mia ansia maniacale di simmetria, guardo gli oggetti sparsi sul divano, sugli scaffali della libreria, sui mobili, sul termosifone. Non apro mai la finestra la mattina presto, la vista del mondo la mattina presto mi deprime. Molte altre cose mi deprimono. Le cose che scrivo, per esempio, sono la fonte principale di ogni mia depressione. Rileggo spesso alcune cose che scrivo, altre invece non le rileggo mai. Stanno lì da qualche parte, piazzate come bombe. Ho disseminato il mio mondo di piccole bombe perfide. Chissà se i grandi scrittori rileggevano le loro grandi opere, e chissà se a una grande opera corrisponda una grande depressione. Stamattina c’era una farfalla che batteva le ali intorno alla luce di una delle applique. Forse non era proprio una farfalla, ma un insetto che le somiglia, un insetto di cui non conosco il nome. Mi sono domandato perché certi insetti sono fatalmente attratti dalla luce. Un minuto dopo sono sceso dalle scale, ho aperto il portone e ho visto che c’era ancora poca luce. Forse anche gli insetti, come noi, aspettano che la luce li uccida.

*

Osip Mandel’štam, da KAMEN’ (PIETRA)

Una indicibile tristezza
ha spalancato gli occhi,
un vaso di fiori s’è svegliato
ed ha versato il suo cristallo.

Tutta la stanza è impregnata
di languore-dolce rimedio!

Un così piccolo regno
ha risucchiato tanti sogni.

Un po’ di vino rosso,
un po’ di maggio radioso
e la bianchezza delle piccole dita fine
che spezza il friabile biscotto.


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