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Sul perché i racconti non piacciono e “Un giorno verrò a lanciare sassi alla tua finestra” di Claudia Durastanti

Creato il 30 luglio 2015 da Linda Ferrando

Avete presente l’entusiasmo che si prova nel momento in cui si finisce un libro stupendo? Ecco mi è capitato alla conclusione di Un giorno verrò a lanciare sassi alla tua finestra di Claudia Durastanti. In questo splendido libro le storie di sei personaggi si intrecciano nel corso di trent’anni di storia americana toccando temi sociali forti e ascese di nuovi generi musicali e di vita, come il punk. La costruzione fa sì che il lettore compia viaggi temporali saltando da un personaggio all’altro, inizialmente senza rendersi conto del filo che collega tutti i racconti in cui è suddiviso il libro. Lo stile incredibilmente sciolto e verace fanno pensare ad un’autrice americana (preciso comunque che la Durastanti è nata a Brooklyn e vive a Londra) e la malinconia di fondo, gli amori impossibili narrati e l’autenticità di certi personaggi rende tutta la lettura estremamente goduriosa.

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Insomma, per me è assolutamente un romanzo da 5 stelle piene e amore eterno; eppure spulciando tra le pessime ma pur sempre utili recensioni sui vari social mi stupisce vedere una media piuttosto bassa e alcuni commenti davvero molto negativi. La prima cosa che mi irrita profondamente sono quelle persone che appioppano un 2 stelle esordendo con “a me i racconti non piacciono”. Praticamente è come se su Tripadvisor dessi una valutazione pessima ad un ristorante di pesce perché io non lo mangio. Se non mi piace meglio optare per una pizzeria no? [Qui si potrebbe citare Gianni Mura che sconsiglia vivamente l’uso di Tripadvisor, ma questa è un’altra storia.]

Ma veniamo alla seconda più importante questione: perché il grande pubblico tendenzialmente snobba i racconti? Quante volte mi è capitato di leggere o sentire dire da qualcuno che i racconti non fanno per lui? Decisamente troppe. Io, come vi ho sempre detto, credo che sia il modo più estremo per capire quanto un autore ci sappia fare. In poche pagine noi capiamo i sentimenti di un personaggio, ci caliamo nella situazione creata dall’autore, proviamo emozioni e ci appassioniamo, e se l’autore riesce in così poco spazio a darci tanto è sicuramente un ottimo autore. E capisco come molti di noi abbiano bisogno di un romanzone da 900 pagine per affezionarsi e amare i personaggi (io per prima) ma riuscire ad apprezzare i racconti migliora la nostra attività di lettori, nobilita la nostra passione e, soprattutto, ci fa scoprire scrittori meravigliosi. Ne abbiamo parlato anche alla Grande Invasione (festival letterario a Ivrea) con Luca Ricci che analizzando e smontando un racconto di Carver (re indiscusso del genere) affermava che “Il racconto è una cosa fatta per essere riletta, non come il romanzo. Ogni parola è fondamentale, nulla è sprecato.” e che “Più parole si hanno, meno importanza ha la singola parola. Meno parole ci sono e più importanza ha la singola parola.” Facendoci capire come sia minuzioso il lavoro di un autore che scrive racconti ma anche di quanto siano importanti i dialoghi perché anche quando apertamente sembra che non accada nulla in realtà accade moltissimo.

Chiudo con una citazione dal libro della Durastanti (anche se si tratta di un romanzo mascherato da racconti):

Eccola qui, una ragazza incapace di nuotare, con i piedi a mollo in una vasca piena di frasi di Nabokov liquefatte, con una gonna di lino bianca tirata fin sopra le cosce e la testa reclinata all’indietro a farsi benedire dal sole. Temo che, anche vista da fuori, chiunque si accorgerebbe che ce la sto mettendo tutta per calarmi nella parte.


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