Vi è mai capitato di sentirvi inadeguati nel parlare di un libro?
Ecco, a me sì. Oggi, ora. In questo momento.
E non solo perché si tratta di un libro così bello, così intimo e ben scritto (con parole semplici ma di una densità e descrittività interiore), che chi sono io per parlare di cose così poetiche e rare? No, soprattutto perché sono qui che scrivo, nel sole della primavera, con la mia casa piena di libri e oggetti, con un computer, il frigo pieno, quel che desidero accanto a me, macchine strombazzanti in strada. Sono qui nel casino pieno di cose e comunque ancor più di desideri che è la mia (nostra) vita e tra le mani e ancora tra i pensieri ho un romanzo sulle cose semplici. Sui silenzi. Sulle parole preziose. Sul dolore. La morte. La povertà.
Su persone che lavorano con la fatica delle braccia e sotto la spada di Damocle della natura più aspra che mai, quella islandese, eppure… persone che un libro è un tesoro raro e stimatissimo e la notte e il silenzio sono lo spazio per i propri pensieri.
Questo è Paradiso e inferno di Jòn Kalman Stefànsson.
Un libro letto lentamente, frenando la foga per la trama. Piano, per il timore della frenesia. Cercando il piacere delle parole, come uno dei personaggi, Bàldur, assapora brevissimi versi del Paradiso perduto di Milton fino a renderli del tutto propri, amandoli. Tenendolo in borsa, sottolineandolo e pasticciandolo come da tempo non facevo con un romanzo.
Mi lascia pensare molto il fatto che nei libri migliori letti dall’inizio di quest’anno – La casa rossa e, appunto, Paradiso e inferno – sia così importante la parola e il modo in cui sono scritti. Che la storia in sé sia più o meno eclissata dall’emozione pura dello scoprire modi diversi di raccontare il quotidiano o un oggetto. Libri fatti di poesia.
Certo, anche la trama c’è: la storia lineare di una barca in mare e poi del villaggio, eppure ricca di significati da cogliere individualmente seguendo il percorso di un libro, Paradiso perduto di Milton (prestato, letto, amato, odiato, restituito). Storie dentro storie, come quella della morte che arriva e della speranza per la vita, contrapposte senza che sia realmente possibile cogliere l’esatta linea di confine tra le due: perché in Paradiso e inferno il fantasma dei morti è sempre presente e sembra difficile desiderare la vita quando essa può essere tanto dura (acqua gelida, monti aspri, mare violento, frustate di vento, malattia) dolorosa e colma di solitudine.
La realtà della storia è un paesino di marinai islandese. Quando? Forse a fine Ottocento.
Era negli anni in cui probabilmente eravamo ancora vivi.
I protagonisti? I marinai della barca – semplici, duri – gli abitanti del villaggio, il diverso e poetico amante dei libri Bárður, e la storia dell’amico di Bárður, soprattutto: Il Ragazzo. Senza nome e senza famiglia. E infatti lo dice:
Non so chi sono. Non so perché esisto. E non sono nemmeno sicuro di avere davanti a me abbastanza tempo per scoprirlo.
O forse no, forse in realtà i veri protagonisti del racconto sono il mare dell’Islanda (la natura – silenziosa, sublime, violenta) e le parole. Che appartengono agli uomini semplici, non agli accademici, ma a chiunque desideri il pensiero.
Parole che possono essere bellissime o mortali o difficili. A volte disprezzate. Parole cui aggrapparsi nel dolore e nella fatica. Parole in grado di colmare di emozioni. Parole che dipingono il futuro e ridanno speranza.
Ci sono parole che hanno il potere di cambiare il mondo, capaci di consolarci e di asciugare le nostre lacrime. Parole che sono palle di fucile, come altre sono note di violino. Ci sono parole che possono sciogliere il ghiaccio che ci stringe il cuore, e poi si possono anche inviare in aiuto come squadre di soccorso quando i giorni sono avversi e noi forse non siamo né vivi né morti. Ma le parole da sole non bastano e finiamo a perderci nelle lande desolate della vita se non abbiamo nient’altro che una penna cui aggrapparci. “Or scende la sera a deporre il manto greve d’ombre su ciascuna cosa”. Versi composti in una tenebra che non dirada mai da quegli occhi, trascritti da una mano femminile, tradotti in islandese da un reverendo dotato di ottima vista ma che a volte viveva in tale indigenza da non avere nemmeno la carta per scrivere e doveva uare il cielo sopra la valle dell’Horgà come foglio.
Parole e pensieri nel silenzio che costruiscono Paradiso e inferno di Stefànsson, un romanzo fatto di cose piccole e grandi e poesie semplici. Da leggere, e rileggere.
Forse non abbiamo bisogno di parole per sopravvivere, forse ne abbiamo bisogno per vivere.
Qui per leggere la quarta di copertina
Jón Kalman Stefánsson
Paradiso e inferno
Titolo originale: Himnaríki og helvíti
Prima edizione: marzo 2011
pp. 240
Nazione: Islanda
Traduzione di: Silvia Cosimini
Collana: Narrativa
ISBN: 9788870911909
Prezzo di copertina: € 16,00