Come mai Dante non si è reso conto di tale incongruenza? Se l'attributo "eterno" caratterizza infatti ogni riferimenti ai luoghi "estremi", ciò non è più vero nel Purgatorio, dove le anime percepiscono il passare del tempo e quindi sono in grado di attendere l'espiazione delle loro colpe.
In termini psicologici, potremmo dire che, mentre per coloro che finiscono all'Inferno o in Paradiso, la morte è realmente quell'istante ove la libertà viene soppressa per dar posto al necessario, al non più contingente, nel caso dei destinati al Purgatorio, tutto viene procrastinato, in attesa di un momento più consono. L'essere-alla-morte, usando la terminologia di Heidegger, diviene una sorta di "Essere-alla-preparazione-della-morte", ovvero di un'estensione indefinita di quell'attimo che, si spera, per i più sia davvero un impulso temporale, un istante che lascia il posto ad una realtà inimmaginabile praticamente, ma teorizzabile con la soppressione del regime dominante della contingenza.
L'impressione che ho avuto del Purgatorio è strana: è un regno ultra-terreno, ma conserva come un'onta i caratteri temporali della vita, quasi a voler sottolineare che la vera punizione di chi si trova in Purgatorio, non sia l'attesa, ma l'allungamento indefinito di quell'istante che salva o danna, di quell'essere-alla-morte che, in fin dei conti, accomuna l'uomo sotto il cappello dell'universale e rimpicciolisce l'ego sino a renderlo poco più della punta d'uno spillo. Un minuscolo frammento di luce troppo distante dal lago di Narciso, ove esso forse potrebbe scoprire la via maestra per spezzare quell'inutile catena e risolversi, infine, verso il (noioso) Paradiso o (l'attraente) Inferno!
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