di Michele Marsonet. Che il Giappone stia procedendo a un rapido riarmo è ormai cosa nota. E che tale riarmo sia anche serio ed efficace è più che probabile, considerando la tradizionale disciplina e le antiche tradizioni militari del Paese. A chi conosce la storia dell’ultimo conflitto nel Pacifico fanno una certa impressione le fotografie, che ultimamente compaiono spesso sui giornali, delle navi da guerra nipponiche con la bandiera spiegata al vento. Non si tratta però del vessillo attuale con sole rosso su fondo bianco, bensì di quello militare con i raggi del sole nascente tipico, per l’appunto, della flotta imperiale che attaccò a sorpresa Pearl Harbor nelle Hawaii e poi iniziò il suo declino con la sconfitta di Midway da parte degli americani. Shinzo Abe, forte anche dell’ultima vittoria elettorale, sta insomma mantenendo la promessa di ricostruire la potenza bellica nazionale dopo che per decenni era stato proibito di affrontare il tema. Dotato di una Costituzione integralmente pacifista e scritta dagli Alleati vincitori, il Giappone sembrava destinato a perseguire soltanto obiettivi di tipo economico. Il successo, com’è noto, è stato notevole, tanto da collocare il Paese ai vertici dell’economia mondiale.
Tuttavia il mondo non è più quello del 1945, né ha molto in comune con lo scenario che si presentava negli anni ’50 e ’60 del secolo scorso, quando – come da noi – ebbe luogo il boom economico. Nell’area del Pacifico sono emerse nuove potenze in grado di fare concorrenza ai prodotti nipponici sul piano commerciale (esempio tipico è la Corea del Sud).
Ma, soprattutto, è emersa con prepotenza la Repubblica Popolare Cinese la quale, superata la fase ideologica maoista, si è trasformata in un vero e proprio ircocervo. Nominalmente ancora comunista, la Cina continentale è diventata una superpotenza economica e anche militare, che non esita a minacciare le nazioni vicine con l’intento di espandere i propri confini e di acquisire aree in apparenza insignificanti, ma in realtà ricche di risorse naturali.
Nessuna meraviglia, quindi, che i giapponesi sentano il fiato cinese sul collo. Per loro è una novità, dal momento che per decenni avevano spadroneggiato nel territorio cinese senza incontrare eccessivi ostacoli. Ora tutto è cambiato, e la RPC è percepita come una seria minaccia in ogni campo, ivi incluso quello militare.
Quando si parla del riarmo giapponese occorre quindi rammentare che esso è stato preceduto da una crescita costante e assai veloce delle capacità belliche della Cina. Basti dire che l’incremento del budget della difesa nipponico viaggia su una percentuale del 2% annuo (attualmente il 5% del bilancio statale), mentre nel 2014 il budget militare cinese è aumentato del 12%. Ciò significa che Pechino spende il triplo di Tokyo per armamenti di vario tipo.
Naturalmente è opportuno valutare le rispettive basi di partenza. Le forze armate cinesi hanno fama di essere potenti più dal punto di vista quantitativo che da quello della qualità. Dal canto loro, le cosiddette “forze di autodifesa” nipponiche si collocano comunque ai primi posti nel mondo, anche per qualità.
Dunque la partita è aperta. La “lista della spesa” di Abe è lunghissima e comprende aerei di nuova generazione (inclusi i controversi F-35 americani), droni potenti e navi molto avanzate. Mette anche conto notare che l’industria giapponese è pienamente coinvolta nel progetto con marchi celebri quali Mitsubishi, Toshiba, NEC etc., il che garantisce a esercito, marina e aviazione equipaggiamenti elettronici di prima qualità.
E’ difficile che la corsa al riarmo dei due colossi asiatici s’interrompa visti i pessimi rapporti tra loro, per di più esacerbati dal conflitto strisciante sulle isole Senkaku/Diaoyu). Merita però attenzione il fatto che Tokyo impegni nello sforzo militare il proprio apparato industriale che, sul piano della tecnologia, ha ben pochi rivali.
Sorprende infine il ricorso a concetti usati già nel corso della seconda guerra mondiale. Proprio come allora, il Giappone è pressoché privo di materie prime e si trova quindi costretto a importarle in modo massiccio. Si riparla allora della necessità di proteggere le rotte marittime che garantiscono la sopravvivenza del Sol Levante, tesi cara ai vecchi strateghi imperiali che progettarono la “Sfera di co-prosperità comune della Grande Asia”.
Solo che l’Asia non è più quella del secolo scorso, e neppure la Cina, allora terreno di conquista e di influenza delle potenze coloniali europee e dello stesso Giappone. Come prima notavo la partita è aperta e molto diversa rispetto al passato, e in questo momento risulta piuttosto difficile prevedere la fine di una corsa al riarmo che coinvolge molti attori.
Featured image, Fungo nucleare su Nagasaki, 9 agosto 1945.