Sul riconoscimento dello Stato palestinese

Creato il 15 settembre 2011 da Prospettivainternazionale

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I.
Tra meno di dieci giorni avrà luogo l’appuntamento in sede Onu tra l’Anp e la comunità internazionale. I temi principali sul tavolo delle Nazioni Unite saranno il riconoscimento della statualità e la modificazione dello status della Palestina. Al momento l’iter e i dettagli sulla proposta che l’Anp deciderà di presentare sono scarsi ma possiamo tentare di capire quali sono le opzioni a disposizione della delegazione palestinese e in quale quadro politico esse vanno valutate.
Per migliorare il proprio status la Palestina ha a disposizione due opzioni. La prima e più ambiziosa è quella di sottoporre al Consiglio di Sicurezza (CdS) la richiesta di membership presso le NU. Per consentire alla richiesta di passare in Assemblea Generale (AG), il CdS deve raccomandarla con una maggioranza di nove voti favorevoli e nessun veto. Successivamente serve una maggioranza dei due terzi in AG.
Sin da maggio scorso è stato possibile interpretare segnali inviati dagli Stati Uniti in merito alla posizione che essi assumeranno in sede di votazione, posizione esplicitamente confermata successivamente: gli USA porranno il loro veto in sede di CdS.
La seconda opzione, più modesta e realistica, consiste invece nel presentarsi direttamente in AG e, in questo caso, la membership non può essere ottenuta ma il ventaglio di proposte che l’Anp può avanzare si amplia: i palestinesi possono avanzare proposte che si concretizzino in un’azione meramente esortativa da parte dell’AG (una risoluzione che specifichi i termini per riprendere i negoziati con Israele ad esempio), oppure possono richiedere la conferma delle passate risoluzioni, o ancora cercare di ottenere lo status di osservatore permanente Stato non membro (la famosa “opzione Vaticano”). Ricordiamo che L’OLP ha ottenuto lo status di osservatore nel 1974 e dopo un processo di ampliamento nel 1998 la presenza della delegazione palestinese è stata riclassificata come osservatore entità.  Tra le possibilità che si aprono ricorrendo in AG, la strada dell’ ”opzione Vaticano” sembra la più razionale da intraprendere in quanto c’è una buona (ma non scontata) probabilità di riuscita a fronte di guadagni relativi più rilevanti. Tuttavia è molto difficile realizzare con precisione quale sarebbe la portata effettiva di questo passo e quali le sue ripercussioni sul “processo di pace” e sui rapporti con Israele. Si noti infatti che non esiste una disciplina dei diritti speciali o privilegi che spettano ad un osservatore Stato non membro. 
Inoltre si tenga conto che nel caso di riconoscimento da parte dell’AG si tratterebbe comunque di una risoluzione giuridicamente non vincolante. Essere promossi al rango di osservatore Stato non membro fornirà un segnale in merito agli orientamenti della maggioranza dei membri della comunità internazionale, cosa che probabilmente legittimerebbe ulteriormente la posizione della Palestina nell’arena internazionale, ma niente di più.
Anche il collegamento fin troppo immediato che vari autori hanno tracciato tra la promozione della delegazione palestinese e la perseguibilità giuridica dinanzi ai tribunali internazionali dei crimini israeliani pare eccessivo. In merito c’è chi ha chiamato in causa la Corte Penale Internazionale. Nonostante in termini concreti mi risulti oscuro il collegamento che intercorre tra l’assurgere al rango di Stato non membro dell’ONU ed il poter ottenere risultati adendo la Corte dell’Aja, faccio presente che Israele è tra gli Stati che non hanno ratificato lo Statuto di Roma e che solo in due casi (e su consiglio del CdS dell’ONU) la Corte Penale Internazionale ha agito contro Stati non sottoposti al suo Statuto.
II.
Tuttavia, oltre alla prospettiva dei risultati, presentarsi direttamente in AG pare essere la scelta più saggia per l’Anp anche alla luce dei seguenti fattori.
I due procedimenti di cui abbiamo parlato non sono strettamente alternativi (i palestinesi potrebbero tentare entrambe le strade anche in modo ripetuto), ma non bisogna sottovalutare il rischio di rallentamenti a cui si potrebbe andare in contro a causa di considerazioni di ordine politico. L’ordine di presentazione potrebbe influire sui tempi. Se ad esempio l’Anp decidesse di tentare prima la strada in CdS e gli USA ritardassero il proprio parere sulla risoluzione, non ci sarebbe da meravigliarsi se l’Europa desiderosa di evitare nell’immediato una presa di posizione e di mostrare le sue lacerazioni interne, cercasse una scappatoia opponendosi alla risoluzione non per questioni sostanziali bensì procedurali.
Anche valutazioni di carattere politico potrebbero spingere l’Anp a bypassare l’idea di presentazione in CdS. Nonostante le dichiarazioni contrastanti, un principio della strategia palestinese pare essere quello di evitare uno scontro con Washington al fine di non interrompere l’afflusso di aiuti economici. Gli USA potrebbero infatti ritrovarsi in una posizione imbarazzante. Ad agosto Cina e Russia hanno menzionato la possibilità di votare a favore della Palestina (una notevole prova di forza per la Cina che dimostrerebbe di poter sorreggere la posizione contraddittoria in cui si troverebbe essendo essa stessa interessata ad evitare discussioni e indagini sui propri affari in termini di diritti umani) e, nonostante il veto americano, la causa palestinese in CdS potrebbe raggiungere quei nove voti che rendendo palese la situazione di minoranza sostenuta da Washington, rappresenterebbero per gli USA un sonoro schiaffo morale.
Se l’obbiettivo di Abbas è quello di poter ripartire con i negoziati in una posizione migliore (se cioè come ho sostenuto l’intera faccenda ONU sia destinata a tradursi per i palestinesi in relativi guadagni politici anziché in enormi conquiste giuridiche) allora non credo che sia politicamente conveniente osare l’impresa in CdS (fallita in partenza) per ottenere nient’altro che un ulteriore irrigidimento sul fronte israeliano-americano.
III.
Forse Israele, mercé il periodo di forte isolamento politico qual è quello attuale, ha eccessivamente amplificato le sue preoccupazioni circa gli effetti di medio periodo del voto ormai imminente. Senza il consenso del CdS continuerà ad essere valida la filosofia di Netanyahu secondo la quale "possono chiamarlo Stato o biscotti, per noi fa lo stesso".
Nell’immediato però c’è qualcosa d’interessante da rilevare.
In primo luogo il voto delle NU potrà esacerbare la sensazione di isolamento israeliana. In secondo luogo il processo della "primavera araba" non è ancora giunto al suo termine e, per quanto il governo statunitense ci tenga a fare le debite distinzioni, l’azione palestinese si tematizza nell'atmosfera generale del "risveglio dei popoli arabi". Questo, unito all'ondata di proteste e manifestazioni che stanno percorrendo Israele, porta a pensare che sussiste la possibilità di ripercussioni politiche all'indomani del voto. Intanto Israele è in stato di allerta e ha armato i coloni.
Elio Amicarelli - prospettivainternazionale
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