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Sul segno (anche politico) dei tempi anti-sartriani e anti-gramsciani: dall’impegno nel sociale al “social”. E sul governo Renzi I.

Creato il 22 febbraio 2014 da Rosebudgiornalismo @RosebudGiornali

591px-Jean-Paul_Sartre_FPdi Rina Brundu. Lo noti soprattutto in questi giorni similcanterini quando sul palco di Sanremo si alternano motivetti brutti, subito-dimenticati, privati di ogni capacità emozionale e creativa, di ogni significazione sostanziale (come sono le canzonette di quest’anno), e le mitiche produzioni che hanno reso grande la nostra scuola cantautorale. Lo noti soprattutto quando il servizio pubblico (bontà sua), di tanto in tanto ripropone in eurovisione le indimenticabili note de “La donna cannone” del “Cuccuruccucù” di Franco Battiato, lo stile-diverso di una credibilissima Mannoia-Jessica Rabbit, la voce suadente di Gino Paoli, la grandezza poetica dello straordinario Fabrizio De André.

Ma – paradossalmente – lo noti anche quando vai a guardare dentro le dinamiche che hanno portato alla formazione di questo nuovissimo governo italiano… lo noti subito che il segno (anche politico) dei tempi è marcatamente “social”, ovvero in diretta e ideale opposizione ad un purtroppo datato tratto “sociale”. Consequentia rerum è che manca “l’impegno”, “l’engagement” per dirla con Sartre. Ovvero, manca la capacità di fare cultura (a tutto tondo) e di fare politica con una completa presa di coscienza della responsabilità pubblica che questo dovrebbe comportare. Meglio ancora si potrebbe forse dire che la cultura e la politica di questi tempi sono anti-sartriane e anti-gramsciane per eccellenza!

Secondo Jean-Paul Sartre e Antonio Gramsci, infatti, tutti quanti noi siamo responsabili del nostro “commitment”, ovvero della nostra capacità di diventare elementi attivi, del fare la nostra parte, di dire la nostra dentro le fila dei grandi conflitti (difficoltà?) del tempo che viviamo. Entrambi questi grandissimi speravano quindi che la cultura (la letteratura, la politica, etc), diventassero strumenti, veicoli, capaci di risvegliare la coscienza dei popoli in una maniera così forte da spingere le élites a… fare qualcosa. Di utile, di necessario, di indispensabile.

Ma – mi chiedo – come potrà fare qualcosa un nuovo governo, quale é il Renzi I, che pare costruito a bella posta per accontentare il revanchismo populista e politically-correct del mondo “social” che a suo modo lo ha fatto esistere, e in virtù del quale il mondo è bello se è giovane, se è veloce, se le “quote rose” sono degnamente rappresentate, se camminiamo a piedi per le strade di Roma senza scorta anche se siamo il Presidente del Consiglio, l’importante è avere un tablet collegato a Twitter alla mano e la battuta pronta? L’idea, la paura, è che ancora una volta l’Esecutivo prossimo-venturo manchi di sostanza, di know-how, di capacità manageriale sostanziale e di capacità di visione complessiva. Soprattutto che resti comunque impantanato nelle usate trappole dei marpioni di regime e dei nostalgici del politichese a tutti i costi.

Oggidì Antonio Polito ha scritto sul Corriere.it che il nuovo governo Renzi nasce all’insegna di un’esuberante-debolezza, concordo! Aggiungerei che la Sindrome dell’esuberante-debolezza è la malattia ideale di questi tempi anti-sartriani e anti-gramsciani che viviamo ma se tale ”infermità” sia disturbo-lieve e temporaneo da curarsi con uno sciroppo o temibile patologia con conseguenze funeste è presto per dire…. Adeguandoci al “segno dei tempi” lo scopriremo soltanto… twittando.

Featured image, Jean-Paul Charles Aymard Sartre


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