Sul soffitto di Éric Chevillard

Creato il 05 febbraio 2016 da Tiziana Zita @Cletterarie

Ci sono libri che ci colpiscono per il loro contenuto, altri che ci trascinano in un altro mondo con il loro stile. Poi ci sono quei libri, rari e preziosi, che ci ricordano che la letteratura dovrebbe riunire entrambi questi aspetti. Sul soffitto, prima opera tradotta in Italia dello scrittore francese Éric Chevillard, appartiene proprio a quest’ultima categoria. È un materiale incandescente, magmatico e ipnotico, affabulatorio e fantastico. Ci svela aspetti della realtà filtrati attraverso una visione assolutamente originale. La trama di questo tessuto cangiante è fatta di quegli stessi accorgimenti che illuminano la poesia: una selezione attenta dei termini, talvolta la loro invenzione o rinascita a nuovi significati, l’uso spiazzante della punteggiatura, l’ironia e il lirismo perfettamente bilanciati.

C’è un’assoluta, matura corrispondenza tra forma e contenuto: la posizione iconoclasta rivendicata dal protagonista e voce narrante si riflette nel suo stile unico. Un uomo che con estrema naturalezza passa dal discettare dell’eleganza e importanza del grigio all’informarci, così, di sfuggita, delle sue difficoltà del vivere quotidiano.

Quando entro in un luogo pubblico, un negozio, un ristorante, abbassandomi leggermente per varcare la soglia – non che sia più alto di chiunque, ma porto permanentemente una sedia rovesciata sulla testa e temo di urtare lo stipite o di mandare in frantumi la vetrina -, le conversazioni si raggelano, poi cedono il posto a quello stesso mormorio che credevo di aver lasciato fuori, che decisamente mi segue, come quei mosconi che sperano di fare un affare con noi

In un flusso continuo, elegante e insieme semplice, il protagonista senza nome ci racconta la sua vita, la sua estraneità al resto del mondo e al tempo stesso il suo sentirsi una persona comune. Un dissidente, quello sì, ma solo in anticipo sui tempi: prevede l’evoluzione della specie, quando dopo qualche generazione le sedie rovesciate sulle teste si fonderanno con i crani e saremo tutti come alberi dai rami protesi verso il cielo. Del resto, lo ammette senza falsa modestia: In cielo, sono un uomo ben sistemato.

Si dipinge come un uomo solo nella folla, additato da tutti, ma pian piano, entrando in questo sua particolare esistenza, scopriamo che è circondato da un gruppo di individui singolari almeno quanto lui. Come la sua fidanzata, che accetta miracolosamente la sua scelta di vita, o Kolski, l’artista-poeta che crea con gli odori e con la realtà opere d’arte (concettuali nel senso più nobile del termine), oppure la signora Stempf, così affezionata ai suoi bambini da trattenerli nel suo ventre con la forza delle storie che racconta…

La trama, se di trama si può parlare, si snoda attraverso le riflessioni e i ricordi del protagonista che narra dei suoi incontri e del suo punto di vista. Vorrebbe che l’umanità cambiasse ma non pretende di rappresentare altro che un esempio, non ambisce a convincere nessuno ma è ben lieto di aprire nuove strade. Ha un approccio molto pratico alle problematiche quotidiane della sua esistenza surreale.

Un paradosso? Forse, ma è proprio questo il tono scelto da Éric Chevillard, quello della logica paradossale spinta fino alle estreme conseguenze. Sul soffitto si colloca quindi in un incrocio impossibile e riuscito tra romanzo, memoir, poesia e pamphlet-apologo sulla scia de Una modesta proposta di Swift, cui è impossibile non pensare. L’ironia, sottile e graffiante, permea ogni pagina, guidando la narrativa vera e propria verso infiniti rivoli creativi. Non a caso alla presentazione romana del libro, sapientemente “accompagnata” da Paolo Di Paolo, Chevillard ha dichiarato che “la storia è solo un pretesto, un onere della scrittura creativa” e, ancora, che “questo personaggio è una figura dello scrittore, né più né meno, che arriva con la pretesa di mettere in discussione il mondo”.
Chevillard il mondo lo osserva e talvolta lo mette in discussione anche sul suo bel blog L’Autofictif, con pensieri giornalieri, frammenti in stile di Zibaldone, che con la caratteristica coerenza e semplicità identifica con numeri progressivi.

Ho vissuto troppo a lungo a terra, i miei sensi nauseati sognano il vuoto… ecco, Sul soffitto, che sebbene scritto nel 1997 non mostra i segni del tempo, ci allontana momentaneamente dalla terra e al tempo stesso ce la mostra in tutta l’attrattiva della sua imperfezione.
Grazie Chevillard, per avercela saputa mostrare con tanta delicatezza e spudoratezza e grazie al traduttore Gianmaria Finardi per aver saputo trasporre in italiano una prosa tanto ricca.


Potrebbero interessarti anche :

Possono interessarti anche questi articoli :