C’è un’assoluta, matura corrispondenza tra forma e contenuto: la posizione iconoclasta rivendicata dal protagonista e voce narrante si riflette nel suo stile unico. Un uomo che con estrema naturalezza passa dal discettare dell’eleganza e importanza del grigio all’informarci, così, di sfuggita, delle sue difficoltà del vivere quotidiano.
Quando entro in un luogo pubblico, un negozio, un ristorante, abbassandomi leggermente per varcare la soglia – non che sia più alto di chiunque, ma porto permanentemente una sedia rovesciata sulla testa e temo di urtare lo stipite o di mandare in frantumi la vetrina -, le conversazioni si raggelano, poi cedono il posto a quello stesso mormorio che credevo di aver lasciato fuori, che decisamente mi segue, come quei mosconi che sperano di fare un affare con noi…
Si dipinge come un uomo solo nella folla, additato da tutti, ma pian piano, entrando in questo sua particolare esistenza, scopriamo che è circondato da un gruppo di individui singolari almeno quanto lui. Come la sua fidanzata, che accetta miracolosamente la sua scelta di vita, o Kolski, l’artista-poeta che crea con gli odori e con la realtà opere d’arte (concettuali nel senso più nobile del termine), oppure la signora Stempf, così affezionata ai suoi bambini da trattenerli nel suo ventre con la forza delle storie che racconta…
La trama, se di trama si può parlare, si snoda attraverso le riflessioni e i ricordi del protagonista che narra dei suoi incontri e del suo punto di vista. Vorrebbe che l’umanità cambiasse ma non pretende di rappresentare altro che un esempio, non ambisce a convincere nessuno ma è ben lieto di aprire nuove strade. Ha un approccio molto pratico alle problematiche quotidiane della sua esistenza surreale.
Chevillard il mondo lo osserva e talvolta lo mette in discussione anche sul suo bel blog L’Autofictif, con pensieri giornalieri, frammenti in stile di Zibaldone, che con la caratteristica coerenza e semplicità identifica con numeri progressivi.
Ho vissuto troppo a lungo a terra, i miei sensi nauseati sognano il vuoto… ecco, Sul soffitto, che sebbene scritto nel 1997 non mostra i segni del tempo, ci allontana momentaneamente dalla terra e al tempo stesso ce la mostra in tutta l’attrattiva della sua imperfezione.
Grazie Chevillard, per avercela saputa mostrare con tanta delicatezza e spudoratezza e grazie al traduttore Gianmaria Finardi per aver saputo trasporre in italiano una prosa tanto ricca.