Opinioni
che potremmo stringare in formule del tipo «quella
di Carminati è (o non è) mafia» o
«quello di Renzi è (o non è)
fascismo» sollevano sul piano
retorico la questione dell’uso
proprio (o improprio) dell’analogia.
A tal riguardo, com’è
buona regola in ogni controversia, occorre chiarire la natura e la
funzione di ciò che è in discussione,
rammentando che nel discorso l’analogia «differisce dalla proporzione puramente matematica, in quanto non pone
l’uguaglianza
di due rapporti, ma afferma una somiglianza di rapporti, [sicché]
mentre in algebra si
pone a/b=c/d, [e]
ciò consente di
affermare per simmetria che c/d=a/b e di effettuare su questi termini
operazioni matematiche che daranno luogo ad equazioni come ad-cb = 0,
nell’analogia
si afferma che “a”
sta a “b”
come “c”
sta a “d”,
[e]
dunque non si tratta più di una divisione, ma di un rapporto che
viene assimilato ad un altro rapporto, [di
modo che] fra la coppia
“a-b”
(il tema dell’analogia) e la coppia “c-d”
(il foro dell’analogia) non si afferma un’uguaglianza simmetrica,
ma un’assimilazione che ha per fine quello di chiarire, strutturare
e valutare il tema grazie a ciò che si sa del foro»
(Chaїm
Perelman, L’empire
rhétorique. Rhétorique et argumentation,
1977).
Posta questa premessa, dovrebbero cadere le obiezioni che
contestano le legittimità dell’analogia
nei casi sopra presi a esempio con controargomentazioni che potremmo stringare in formule del tipo «gli uomini di Carminati non
avevano coppola e lupara» o «Renzi non ha squadracce che
scorrazzano in lungo e in largo per l’Italia
con olio di ricino e manganello»: tema e foro non stanno in relazione
di uguaglianza, ma di proporzione, la quale, dunque, non cade dinanzi
all’ovvia
constatazione che nulla somigli mai del tutto a null’altro,
non foss’altro
perché nulla somiglia mai del tutto neppure a se stesso nel corso
del suo divenire, come
d’altronde è nel
caso della mafia e nel caso del fascismo.
L’analogia
– sarà il caso di dirlo in modo esplicito – non pretende che sia
attestata una peraltro sempre impossibile coincidenza, ma che sia
riconosciuta quella serie di elementi che realizzino una puntuale
relazione tra tema e foro, conservando per ciascuno una congrua
proporzione. L’analogia, insomma, cade solo con la dimostrazione che questo tipo di relazione non abbia sostegno, non già che non sia in grado di comprovare una perfetta coincidenza tra tema e foro. Rigettando la liceità della naturale funzione che l’analogia ha nel discorso, si dimostra
di temerne l’efficacia.
E il tentativo di delegittimarla come strumento improprio rivela
l’incapacità
di contestarne l’uso che una corretta argomentazione non le preclude.
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