Se mi chiedessero qual è il problema che maggiormente riscontro come base delle difficoltà scolastiche, risponderei senza esitazione: «Il contenuto e la forma dei programmi».
Premetto un'informazione che ritengo importante: sono una grande appassionata delle materie di cui mi accingo a parlare (quelle in cui sono, per questioni di formazione, più competente), quindi tutte le mie affermazioni nascono non dal desiderio di demolirle, ma, anzi, dalla voglia di vederle potenziate, sottratte al grigiore e caricate di significati.
I programmi di tutti gli istituti di istruzione superiore prevedono, come ben sappiamo, l'insegnamento dell'Italiano e della Storia. Queste materie sono essenziali non solo per l'acquisizione di una buona cultura generale, ma anche per la formazione di cognizioni linguistiche, espressive e sociali. O meglio, così sarebbe se l'insegnamento di queste discipline fosse impartito in maniera diversa.
La mia polemica non è rivolta agli insegnanti, bensì ai programmi ministeriali cui tutti loro si devono per legge attenere, riuscendo solo in qualche caso, se si tratta di docenti particolarmente portati per il loro lavoro, dotati di una grande capacità di comunicazione e interazione con gli studenti, a superarne limitazioni e controsensi; quando, al contrario, questa attitudine manca completamente, la situazione diventa disastrosa. Nella maggior parte dei casi, comunque, si verifica una condizione mediana: il programma è seguito in maniera fedele e la classe impara una serie di dati tecnici che saranno relativamente utili nella vita; qualche alunno tratterrà a vita alcune informazioni particolarmente significative, molti altri faranno tabula rasa, mantenendo della loro esperienza scolastica solo l'attestazione burocratica del loro transito.
I programmi scolastici di Italiano e Storia non sono sbagliati, ma, semplicemente, inadeguati: sono vecchi.
La questione si dirama in due sotto-problemi, che riguardano, rispettivamente, le estensioni cronologiche e il grado di dettaglio dei programmi e l'assoluta prevalenza del dato mnemonico e nozionistico sul momento di riflessione e rielaborazione.
Che senso ha studiare nel dettaglio le tre Guerre Puniche o le mille lotte dinastiche del XVI e XVII secolo con i loro effimeri effetti e tralasciare la storia dal secondo Dopoguerra in avanti? Perché imparare i nomi di imperatori e papi rimasti in carica pochi anni e ricordati spesso per degli episodi coloristici e conseguire la maturità senza conoscere Nilde Iotti, Aldo Moro, Falcone e Borsellino? A quale pro soffermarsi sulle distinzioni dogmatiche fra Luterani e Calvinisti o sui numeri degli oppositori ghigliottinati durante il Terrore e non parlare - magari leggendo un giornale - dei conflitti politici-religiosi attuali?
Le stesse osservazioni possono valere per la Letteratura, perché non ha alcun valore lo studio dettagliato e al limite della follia dei sonetti di Petrarca o l'apoteosi dei Promessi Sposi, se poi non si arriva a leggere un solo verso di poesia dagli anni '40 in avanti o a trattare testi di romanzi contemporanei, né vedo perché pretendere che gli studenti comprendano parola per parola la Commedia e non insegnare loro a leggere un articolo di giornale o una comunicazione attuale.
Quanto all'obsolescenza della metodologia, mi batterò sempre contro l'apprendimento mnemonico e contro le forme di verifica che non consentono di appurare l'effettiva penetrazione dei contenuti; sono contraria ai dati numerici, alle date (tranne quelle essenziali, si intende) e alle definizioni. Il pensiero o la scelta di un poeta non sono leggi fisiche: non è possibile ripetere «L’ipallage è una figura retorica che consiste nel riferire un aggettivo non al sostantivo cui è semanticamente legato ma ad un altro sostantivo vicino» con lo stesso automatismo con cui si ripete: «La legge di gravitazione universale afferma che nell'universo ogni punto materiale attrae ogni altro punto materiale con una forza che è direttamente proporzionale al prodotto delle loro masse e inversamente proporzionale al quadrato della loro distanza».
Trovo assurdo insegnare ai ragazzi la differenza fra una metonimia e una sineddoche (una sottigliezza inutile anche a livelli specialistici, tanto che i testi stessi fanno confusione), obbligarli a parafrasare (operazione che mi fa venire la nausea) il Cantico delle Creature e a comprendere il valore dei latinismi in Foscolo se poi non si insegna loro la concordanza dei congiuntivi rispetto agli indicativi e ai condizionali, l'uso dei pronomi relativi, la punteggiatura.
Lo stesso dicasi per la Storia, il cui insegnamento prevede spesso bombardamenti di date e nomi e la costruzione di affreschi cronologici ricchissimi ma confusionari; alla bontà della didattica della storia, però, viene in soccorso un preciso orientamento di pensiero e metodologia, quello della École des Annales, nata negli anni '20 del Novecento grazie a storici di spicco come March Bloc e Lucien Febvre. Les Annales hanno teorizzato la necessità di sacrificare la prassi della storia evenemenziale allo studio delle strutture, affiancando alla storia politica (prospettiva dominante ancora oggi, almeno in Italia) la storia sociale, economica e culturale. Fermo restando il valore linee del tempo e di buona parte della storia evenemenziale (nessuno si sognerebbe di eliminare dai programmi scolastici l'incoronazione di Carlo Magno, la Battaglia di Lepanto o l'invasione tedesca della Polonia), ritengo che usare questi dati come gabbie cronologiche per lo studio di fenomeni più diffusi, endemici e transtemporali anziché come esclusivi oggetti di attenzione sarebbe non solo più stimolante, ma anche più efficace nel contrastare la diffusa obiezione che gli studenti sollevano regolarmente: «Studiare la Storia non serve a niente». Confermo: non serve a niente studiare infinite sequenze di battaglie e trattati, ma la Storia dovrebbe essere ben altro, dovrebbe invitare alla riflessione, aiutarci a capire l'aspetto del mondo di oggi, a superarne le contraddizioni e ad allargare i nostri orizzonti culturali.
Ripeto: sono una sostenitrice di prima linea di questi contenuti, ma ritengo che, visto che i tempi e gli spazi scolastici richiedono una selezione, al momento essa verta su aspetti parziali e su prospettive da rivedere in modo profondo e radicale. Si dovrebbero ricercare il coinvolgimento, il pensiero, l'analisi, la partecipazione attiva dello studente, invitandolo a comporre dei quadri storici prima di chiedergli una mitragliata di date, e a produrre dei testi corretti e articolati prima di pretendere che comprenda una lirica di cinquecento anni fa.
C.M.
NOTE:
[1] Pierpaolo dalle Masegne, Arca di Giovanni da Legnano, 1383 (particolare). L'opera è esposta al museo medievale di Bologna.