Sull’odio, la cattiveria, la crudeltà e la memoria.

Creato il 01 agosto 2011 da Valepi
Il Profumo delle foglie di limone- parte seconda
Attenzione: Questo post è lungo ed emotivamente pesante. Se siete sotto l’ombrellone, almeno con i pensieri, e non avete voglia di pensare forse non è il caso di andare avanti.
Julian
“Loro non si sentono in colpa (…) Non mi è mai capitato di incontrarne uno che abbia mostrato un qualunque segno di pentimento. Pensano di essere vittime di un mondo che è cambiato e non li capisce. In un certo senso – aggiunse abbassando lo sguardo – la loro mancanza di senso di colpa ha fatto si che molti, compresi Fred e Karin, riuscissero a mettersi in salvo. Si sono liberati, sono riusciti a sopravvivere benissimo. Sicuramente nell’intimità continuano ad alimentare le loro fantasie di superiorità”.
Sandra
Rimase in silenzo e mi guardò per valutare la mia reazione, ma io non ne ebbi alcuna: non avevo notato niente che potesse rivelare il loro orgoglio di essere nazisti, i miei erano solo sospetti (…) Non volevo credere che Fred e Karin fossero dei nazisti. I nazisti erano esseri incomprensibili. L’ultima cosa che mi sarebbe saltata in mente era di poterne conoscere uno. Li avevo visti nei film e nei documentari e mi erano sempre sembrati irreali. Le uniformi, gli stivali, le bandiere, i ragazzi con il braccio alzato, la razza ariana, la croce uncinata, tutta quell’efferatezza contorta. Era incredibile che la gente, la gente con un cervello, li avesse presi sul serio e gli avesse lasciato fare tutto quello che volevano.
Il profumo delle foglie di limone
È curioso che abbia iniziato a leggere Il profumo delle foglie di limone proprio in questi giorni, proprio mentre in Norvegia un folle assassinava decine di persone in nome di un personalissimo e discutibilissmo credo. È triste che Breivik (il folle) abbia scelto proprio queste giornate d’estate per attuare il suo piano: in estate, quando i telegiornali si occupano più di ricette, diete, costumi e vacanze che di cronaca e quando la maggior parte delle persone, con la mente obnubilata dalla stanchezza e dal caldo, preferisce portare al mare un giornale di gossip che un quotidiano o un libro. Mi chiedo quante persone non si saranno nemmeno accorte di quello che è successo e quante, di quelle che se ne sono accorte, a settembre se ne ricorderanno ancora.
Il ricordo, la memoria.
Il tempo passa e fatti, storia, persone, principi si scolorano, si dimenticano, perdono la loro carica emotiva e spesso le motivazioni, i significati (ne è purtroppo un esempio l’Italia, dove alcuni politicanti, senza fare questioni di parti, fondano spesso campagne elettorali e programmi su tentativi di revisionismo storico che non vanno nemmeno tanto lontano nel tempo, negando e dichiarando l’esatto contrario di quello che si è detto o fatto magari solo l’estate prima… vogliamo parlare di… vabbeh, lasciamo perdere!).
Insomma, è in questo clima e con questi pensieri che sto leggendo Il profumo delle foglie di limone e che mi rendo conto che la bellezza di questo libro, per me, è nella stranezza delle emozioni che mi sta facendo provare. Inizialmente, come ho scritto, la cosa che mi ha colpito di più è stata la figura di una delle voci narranti: un anziano, ex deportato, in cui il ricordo di quanto ha vissuto è tanto vivo quanto l’odio per gli attori di quel massacro. Mi ha fatto pensare alla vecchiaia, a cosa si pensi e si viva veramente quando ci si rende conto che gli anni che restano da vivere sono infinitamente meno di quelli che abbiamo già vissuto. Lo confesso, mi ha quasi dato una sensazione di fastidio, o almeno mi è sembrato… strano… scoprire, provare ad immaginare che l’odio potesse durare così tanto, che la memoria potesse, in alcuni casi, essere indelebile.
Ho pensato, con altrettanto fastidio, che la reazione fosse mia e basta, e per qualche giorno mi sono interrogata sul perché tutto questo mi meravigliasse così tanto.
Insomma, ho letto il Diario di Anna Frank, Se questo è un uomo, La lista di carbone, Ogni cosa è illuminata, ho visto Schindler’s List, Train de vie, La vita è bella, Il pianista e chissà che altro di cui, appunto, ho perso memoria… non ho certo una cultura superiore sull’olocausto e sui campi di concentramento, ma mi sentivo la coscienza a posto rispetto a quello che ne so e alle mie emozioni rispetto a questo momento storico.
E invece ho scoperto che non solo la mia memoria è sfumata e labile per quanto riguarda i fatti, le date, i nomi, ma è, forse, ancora più scolorita per quanto riguarda le emozioni, se l’idea di un ottantenne che ancora odia i suoi aguzzini mi è sembrata “strana” e se davvero mi è sembrata meno strana l’idea di ottantenni ex SS che fanno la vita soave e da favoletta della nonnina dei Looney Toones.
Continuando nella lettura ho capito che non solo questa reazione non è solo mia, ma che è probabilmente proprio di questo che l’Autrice vuole parlare e lo fa nel momento in cui la seconda voce narrante del libro è una ragazza di trent’anni che, proprio come me, ha sempre visto nazisti e campi di concentramento nei film o sui libri e, proprio come me, fatica, non dico a considerarli reali, ma certamente a sentire sulla propria pelle le emozioni che un’esperienza del genere può aver scatenato.
Il dolore, la sofferenza, l’odio infinito di chi è stato sottomesso e torturato; la crudeltà, l’odio, la presunzione di chi ha torturato e ucciso.
E anche in quest’ultima frase mi rendo conto di essere didascalica, scontata e stereotipata, perché associo le solite emozioni ai soliti attori, senza pensare che, veramente, le anime umane sono così ricche e imprevedibili da sentire e scatenare emozioni spesso imprevedibili. Davvero i sopravvissuti sono sempre e solo vittime o sono capaci, in preda al loro odio e al desiderio di vendetta verso i nazisti, di uccidere con altrettanta ferocia e crudeltà? E davvero i nazisti sono stati solo feroci aguzzini senz’anima, o anche loro hanno amato, sofferto, provato sensi di colpa?
Non ho risposte. Ho visto La caduta, ho visto la fine di Hitler dal punto di vista di un uomo ormai debole e, senza per questo assolverlo o dimenticare ciò che ha fatto, mi sono interrogata sul fatto che tutti, in questo pezzo di storia, sono esseri umani e non personaggi di un libro o di un film, solo bianchi o solo neri, solo buoni o solo cattivi. Ma purtroppo quello che succede è proprio questo: è passato talmente tanto tempo, si è scritto, filmato, raccontato talmente tanto che nella mente di molti questi fatti e questi personaggi hanno la stessa tonalità emotiva di una storia macabra, ma a lieto fine… d’altronde noi non ne abbiamo fatto parte.
Non aver vissuto in prima persona quel momento storico mi rende una persona fortunata, mi permette di vivere la mia vita serenamente, se paragonata a quella di un sopravvissuto ai campi di concentramento o di un ex SS, ma mi impedisce di sentire realmente le emozioni che hanno vissuto milioni di persone.
E mi fa rabbia! Perché la maggior parte di chi ha vissuto veramente quell’esperienza è ormai morta e se io, che mi considero una persona di cultura e sensibilità leggermente superiore alla media, mi rendo conto di avere di questi fatti un’immagine sbiadita e insensibile mi rendo anche conto che c’è davvero qualcuno che comincia a credere che tutto questo non sia mai accaduto perché quando le emozioni svaniscono, svanisce anche la realtà.
Nota per il futuro: portare il prima possibile Princi a respirare dal vivo i posti in cui tutto questo è accaduto, perché non sopporterei di sentirle dire un giorno che l’olocausto è solo un’invenzione.

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