Sull’Universo, considerazioni filosofiche

Creato il 14 febbraio 2013 da Cultura Salentina

14 febbraio 2013 di Dino Licci

Il cattolicissimo Pascal demandava alla matematica, al calcolo delle probabilità, la convenienza o meno di credere. A me sembra ingiurioso e limitativo verso la grandiosità dell’Universo, un ragionamento del genere. Pensare all’Universo mi affascina e sconvolge a prescindere dalla mia personale convenienza, a prescindere persino dal bene di tutta l’umanità. Il Mistero incombe su di noi e, seppure tale deve rimanere, pure mi sento di levare dal più profondo del cuore un inno all’Immenso, come una corda di violino tesa allo spasimo in un suono ora acuto ora grave ma che vibra con noi nella ricerca del vero, nell’estasi profonda che il trascendente ci procura.

Mente un rabbino litiga col papa e un musulmano s’immola per la gloria di Allah, due scienziati dello – Scripps Research Institute – sono riusciti a sintetizzare degli enzimi dell’RNA che riescono a replicarsi autonomamente.

Sono un vecchio biologo ed ormai, dopo decenni di studio e riflessione, potrei anche definirmi un vecchio filosofo. Ho imparato a coniugare col passare degli anni, Scienza e Fede, Biologia e Filosofia. La genetica c’insegna che non siamo tutti uguali, l’etologia c’insegna che l’apprendimento, l’imprinting, la cultura, rivestono grande importanza nella formazione di un individuo. Quello che appare logico e scontato ad un biologo non lo è altrettanto per un teologo e, fra le due opposte visioni della vita, la filosofia s’incunea cercando di mediare, quasi volesse rubare le funzioni al corpo calloso che coniuga il nostro emisfero dell’astrazione (il destro) con quello del calcolo e della ragione (il sinistro). Non ho dubbi, non ne ho alcuno, che presto si arriverà a far scoccare in vitro la prima scintilla vitale, non ho dubbi neppure che l’Universo sia autosufficiente (basta leggersi “La grande Storia del Tempo” di Stephen Hawking per convincersene) e non ho dubbi sul Big Bang iniziale: basta osservare il fondo nero del cielo o ripercorrere all’indietro l’espansione dell’Universo secondo le osservazioni effettuate da Hubble ed elaborate da Gamow nel 1946 per persuadersene. Ma per quanto si sintetizzino nuove molecole vitali, per quanto si avalli (ed io ci credo scientemente e razionalmente ) la teoria di Darwin, si arriverà sempre a quello che Aristotele chiamava “Primo motore” e Kant “noumeno” o Hegel “cosa in sé“, all’inverificabile, al trascendente che non è, non può essere il Dio dei teisti, non il Dio abramitico, che fonda sul dogma o sulle assurde prove ontologiche di Anselmo la sua esistenza. Dio, a mio avviso, è qualcosa di molto più grande, la cui misura ci sfugge, ma intanto ci abbaglia ed ammanta di sublime se riesce a scatenare in me, in voi, in tutti gli individui del mondo, emozioni tali da sfociare nel Chiaro di luna” di Beethoven, nella “Patetica” di Ciajkoskij” o in brevi, prodigiosi versi come “M’illumino d’immenso” di Ungaretti. Quando Leopardi dice: “Il naufragar m’è dolce in questo mare”, compendia in poche righe, tutta la grandiosità del Trascendente, che piccoli uomini e religioni immanenti, dogmatiche ed aprioristiche, vorrebbero relegare nell’angusto spazio di tradizioni ammantate di lotte fratricide e coperte di sangue, oscurantismo e intransigenza.


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