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Sulla classe insegnante, lo Stato e il Sindacato: Agrippa, ovvero la farsa del “bene comune”

Creato il 11 maggio 2015 da Criticaimpura @CriticaImpura
Neanche le capocciate...

Neanche le capocciate…

Di ALDO RICCADONNA

Una leggenda racconta che nell’antica Roma ci fu un periodo in cui i plebei fecero degli scioperi. Durante uno di questi intervenne un senatore di nome Menenio Agrippa. I senatori erano tutti patrizi. Così egli si rivolse agli scioperanti: “Lo stato è come un corpo umano, nel quale ogni organo coopera al benessere del tutto. Se uno solo degli organi è malato o si rifiuta di funzionare, tutto il corpo ne risente. Voi, plebei, siete le braccia; noi, patrizi, siamo lo stomaco. Quindi voi dovete procurare il cibo allo stomaco, altrimenti uno stomaco vuoto procura un guaio irreparabile. Se lo stomaco rimane vuoto, anche tutto il resto del corpo, comprese le braccia, deperisce.” La leggenda racconta che i plebei furono persuasi da questa arringa e tornarono al lavoro.

Tu mi dirai forse che ciò avveniva in un tempo lontano, quando l’umanità non aveva ancora raffinato le sue armi. Io ti dirò invece che ciò avviene sempre in qualsiasi tempo, luogo, cultura. La giustizia è l’utile del più forte. Ogni governo è espressione di chi ha il potere, quindi ogni governo fa gli interessi di chi è al potere, ma perché siano accettati dai sottoposti, deve farli passare come interesse generale, come bene comune. Per dimostrare questo assunto, ti faccio l’esempio contemporaneo sotto riportato.

Un bel giorno la burocrazia e il sindacato si misero d’accordo per decidere una legge sull’assunzione degli insegnanti nella scuola pubblica. Burocrazia e sindacato sono due potenze al potere in Italia, come ben sappiamo. Si dissero: “Noi siamo al potere e dobbiamo conservarlo. In merito agli insegnanti, decidiamo che dovranno fare una certa strada: dovranno acquisire punteggi e abilitazioni. I punteggi sono dati dagli anni di insegnamento e l’abilitazione da un esame. Facendo così, noi saremo ancora al potere, perché potremo controllare tutta la scuola pubblica, infatti punteggi a abilitazioni saremo noi a deciderli e ad elargirli! Vedremo tutta questa massa di aspiranti insegnanti seguire le nostre norme, accettare le nostre imposizioni, ringraziarci quando avranno ottenuto il posto fisso. Li vedremo in fila come una tribù di formiche, spintonarsi e facendosi sgambetti – e per noi sarà una visione sublime! Ma, per fare tutto questo, è necessario far passare le nostre leggi come fossero dettate dal bene comune. Dunque diremo al mondo che questo è un metodo democratico, alieno da raccomandazioni (come invece capita nelle università): tutti uguali di fronte alla legge, tutti all’opera ad accaparrarsi i punteggi e le abilitazioni. Vedremo questi futuri insegnanti accapigliarsi ad ottenere le supplenze in ogni possibile scuola, e poi li vedremo umili e deferenti di fronte ai giurati (cioè di fronte a noi) mentre faranno quell’esame per la cosiddetta abilitazione. A noi non interessa granché che sappiano le materie per le quali concorrono, basta che sappiano il minimo. A noi interessa solo che questi professori abbiano sempre in mente che dipendono totalmente da noi. Insomma gli faremo un bel lavaggio del cervello, in modo che non possano mai più scordarselo. E poi, chi mai può elargire un posto fisso per l’eternità? Solo noi! Costoro ci ringrazieranno per tutta la vita!”

Così burocrazia e sindacato si misero all’opera per creare la scuola pubblica italiana. Decisero che bisognava computare in che anno uno si è laureato, quali esami ha sostenuto, quanti anni di insegnamento ha fatto. Era necessario capire se costui sa la materia per cui è insegnante? No! Se lui o lei è responsabile, studierà tutta la vita la sua materia, perché è chiaro che per sapere qualcosa bisogna dedicarvisi tutta la vita. Se lui o lei, invece, una volta finita l’università, hanno chiuso i libri e si sono dedicati a tutt’altro (magari a un secondo lavoro), è affar loro, non della scuola. Se sanno solo le solite quattro cosette, sempre quelle, ripetute per milioni di volte nei secoli, le quattro cosette banali, fumose, noiose, imparaticce, senza arte né parte, senza sale né pepe – ebbene ciò esula dalla competenza della burocrazia e del sindacato. Se costoro riescono solo ad annoiare gli studenti, e non ad interessarli, è questione di nessun interesse.

Così capita che, quando si tratta di difendere il suo misero interesse particolare, il professore ‘patentato’ si nasconde dietro alla legge, al diritto di precedenza dell’anzianità, ai ‘diritti acquisti’, al merito di aver percorso tutte le tappe ortodosse per diventare una persona cui si tributa il titolo di professore. Dimentica di appellarsi all’unica fonte degna di una persona seria, vale a dire all’essere più o meno sapiente di quella materia, di cui invece, per la maggior parte, si considera (di certo oscuramente) un limitrofo osservatore occasionale. Il professore ha sfruttato quella scienza per ottenere un comodo e inamovibile lavoro statale fisso. (Che esistano questi lavori statali inamovibili è un altro mistero, o meglio un altro tassello del privilegio e dell’inefficienza, perorato con la grancassa dal sindacato). (E poi: ‘diritti acquisiti’? Si tratta di diritti avuti da una legge non più in vigore. Ma non si dice che tutti sono uguali di fronte alla legge? Appellarsi a una legge scaduta per difendere dei privilegi, e far passare ciò come legittimo: ecco un’altra ridicolaggine, anch’essa sostenuta dal sindacato).

Già, una legge! Ma non è una legge divina né una legge di natura. È una legge umana e come tutte le leggi umane è arbitraria. Questa legge perora la causa della burocrazia e del sindacato, quindi perora la causa dell’inefficienza dello stato! Perché uno stato che permette agli ignoranti e ai mediocri di fare gli insegnanti è inefficiente e fondato sul privilegio. Così molti che, privi di punteggi e di abilitazioni, sanno le materie molto (ma molto meglio!) dei ‘professori patentati’, non hanno accesso all’insegnamento e la scuola si vede costretta a sorbirsi quei provinciali della cultura, rinoceronti senza gloria e senza lode.

Ma tutto ciò è riferito al passato. Quell’esame, sopra menzionato, si poteva sostenere fino a qualche anno fa, ed era molto probabilmente facile, perché tutti lo hanno superato. Si era nel tempo in cui le porte della scuola erano spalancate, e quasi ognuno poteva diventare insegnante, e la sua missione veniva ricompensata con una baby-pensione (ovviamente anch’essa sostenuta dal sindacato). Da parecchi anni non c’è più questo esametto, si sono inventate altre vie, altrettanto burocratiche e sindacali, e quasi impossibili. Oggi è ormai chimerico accedere alla scuola con i criteri burocratici e sindacali. Quindi c’è del ridicolo: da molti anni non è più possibile percorrere la strada indicata da burocrazia e sindacato, punteggi e abilitazioni sono ormai sogni evanescenti, ma i due potentati vi si aggrappano ancora, come all’ultimo osso. Hanno una gran paura che, se mutasse la legge, cioè se fosse invece premiato il merito (assurdo in Italia!), non avrebbero più il loro potere. Ma stiano allegri! (e lo sanno benissimo!), punteggi e abilitazioni, o simili, saranno ancora gli unici lasciapassare per entrare nella scuola e mai avverrà che un ‘patentato’ sia licenziato per far posto a uno che sa la materia molto più di lui, ma che non può presentare la ‘patente’: una farsa che non avverrebbe in una azienda privata.

Per azzerare il mattone creato da burocrazia e sindacato, è quindi auspicabile che le scuole diventino tutte private?


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