sulla disabilità e sull’inclusione.

Da Leucosia

c’è stato in questi ultimi giorni un dibattito in rete. che ho seguito a distanza, appassionandomi ma senza commentare.

si partiva da una pubblicità con foto, in cui era incluso tra i tanti bimbi sorridenti e in posa, un piccolo con sindrome di down. sul blog di Stima di danno un lungo post che consiglio vivamente e di cui alla fine mi ha colpito una frase.. che diceva così: incominciamo ad accogliere Barbara -ovvero la mamma di Killò- come una di noi. lei è una di noi.

tutto questo mi ha fatto riflettere. su di me come madre, come donna. come disabile. la mia disabilità è una disabilità invisibile. salvo in rare occasioni non si vede ad occhi poco allenati, e dovrei perciò esserne contenta perchè rispetto ad altre patologie è probabilmente la più camuffabile. o la meno problematica. dipende dai punti di vista. però c’è un però . ( eh, quelli ci sono sempre…) purtroppo viviamo in un contesto sociale in cui si viene spesso e volentieri etichettati con degli schemi ben precisi. io non sfuggo a etichette di questo tipo. se agli inizi della malattia ero completamente autonoma, le persone che sapevano del problema mi guardavano con aria smarrita, pronti a dire : ma chissà se sei davvero malata?!? poi con lo scorrere del tempo e con le inevitabili ricadute e i loro strascichi piano piano sono diventata quella malata davvero, quella che ha bisogno dell’aiuto di altri, ossia quella che da sola non ce la può fare.

inutile dire quanta sofferenza ha provocato in me questa definizione, questa condanna senza appello. come se non avessi diritto a una vita normale. come se non potessi più uscire, andare a mangiare una pizza o vedere un film al cinema.  come se anche la mia maternità fosse valutata secondo altri criteri, giudicandomi una folle senza mezzi termini che messo in pericolo la sua salute pur di realizzare un desiderio puramente egoistico. e queste considerazioni fanno ancora più male quando sono comunicate in ambito familiare. 

e poi c’è il resto. il contorno. gli amici e i parenti che non sembrano o non vogliono vedere gli sforzi compiuti fino ad ora per essere normale quanto più possibile.  spesso mi sono domandata se a volermi escludere de facto fossi stata io stessa. con i miei atteggiamenti e i miei silenzi. ma ci sono cose, pensieri, dolori e ansie che è difficile esprimere a parole. forse avrei avuto bisogno – forse ne ho ancora bisogno!- di una, due, tre persone che accettasse i miei limiti fisici, senza considerarli un ostacolo insormontabile ma un problema di facile soluzione.  perchè io sono, nonostante la corazza esterna, parecchio fragile interormente; la fiducia che ho di me stessa ogni tanto andrebbe alimentata con un incoraggiamento onesto e sentito, e non sprofondarla nell’indifferenza.

tutto questo per dire che anche a me farebbe piacere di tanto in tanto sentirmi dire che faccio anche io parte di qualcosa—non come zavorra, ma come persona…una persona speciale nella sua ricerca di normalità.

e vabbè … è l’una di notte. ho i neuroni in caduta libera. perdonate lo sfogo, che non ha capo nè coda. e probabilmente domani mattina sarà cestinato…