I filosofi morali ondeggiano fra due atteggiamenti distinti, ma in ultima analisi simili, rispetto alla rilevanza delle emozioni nella morale.
Il primo atteggiamento è l’esclusione, ed è quello di origine kantiana: le emozioni sono soggettive, la morale è oggettiva, ergo le emozioni non devono avere rilevanza morale.
Il secondo è l’appiattimento su di esse: sono le emozioni a determinare cos’è morale e cosa non lo è, e dobbiamo dunque seguire le emozioni per essere morali. O per meglio dire, dobbiamo seguirne alcune, quelle “buone”, e non seguirne altre, quelle “cattive” … sì, la questione di come si distingua quali siano le emozioni buone da seguire e quelle cattive da non seguire è lasciata in sospeso; si ritiene che sia una cosa data a priori, che viene nel pacchetto con le emozioni stesse.
L’atteggiamento dell’ignorare completamente le emozioni e quello di appiattirsi del tutto su di esse sembrano opposti l’uno all’altro, ma in realtà sono molto simili. Nel primo caso le emozioni vengono escluse dalla morale perché soggettive, e la morale dev’essere interamente oggettiva. Nel secondo esse vengono incluse in quanto le si ritiene in qualche modo oggettive, ovvero si ritiene che le valutazioni di valore emotive (o almeno, alcune, non si sa esattamente quali) siano condivise e indiscutibili, e la morale dev’essere oggettiva.
I due atteggiamenti sono identici in questo: entrambi vogliono escludere dall’etica l’aspetto più essenziale del sentire emotivo, che è il suo essere in ultima istanza sempre soggettivo.
Che la morale alla fin dei conti contenga un elemento importante e fondante che si riduce a circostanze particolari, ovvero al soggetto specifico e allo specifico contesto in cui si è formato, è una cosa che il filosofo morale non accetta mai.
Come sempre, è facile capire perché non lo accetti: se lo accetta, ecco che la morale diventa la somma di due contributi: un sentire emotivo intimo e irriducibile, che dirige le nostre azioni, e la conoscenza dei fatti, che le guida.
Ovvero, una volta che io sappia cosa voglio, ovvero cosa mi fa bene, grazie alle mie emozioni, e come ottenerlo, grazie alla conoscenza, non mi serve nient’altro per decidere come comportarmi.
La conoscenza dei fatti è tutta dominio del pensiero scientifico. Il sentire intimo invece è irriducibile, e se proprio vogliamo è dominio degli artisti, degli psicologi e dei sociologi.
Scienza e introspezione in sinergia sono sufficienti a determinare sempre e infallibilmente il miglior modo in cui comportarmi.
Dunque, che cosa resta sotto il dominio del filosofo morale?
Niente. Diventa disoccupato. E non mi aspetto che voglia restare disoccupato…
Ossequi