“In Cina, regno del quale il governo e le arti,
senza rapporto con le nostre e senza conoscenza di esse,
superano in eccellenza i nostri esempi sotto diversi aspetti,
e la cui storia m’insegna
quanto il mondo sia più ampio e vario
di quel che gli antichi e noi possiamo concepire.”
(G. Leopardi - Zibaldone, 30 nov. 1828)
Michel Foucault parlava dell’eterotopia della Cina affermando che quel pensiero è altro, che è un altrove dal nostro a livello concettuale ma che, ragionando sui pensieri diversi, si riesce a far reagire ancor più fruttuosamente il proprio pensiero. Una delle cose più complesse da attuare, nella vita, è quella di uscire dai personali schemi mentali per saper prendere una distanza e un distacco dal nostro particolare modo di ragionare, per poter accrescere la conoscenza.
Francois Jullien, illustre sinologo francese, afferma che il pensiero cinese offre la possibilità di farci interrogare sul modo con cui pensiamo e ragioniamo in occidente, poiché esso ci aiuta ad approdare all’impensabile, infatti ci porta a ciò su cui non riusciamo ad interrogarci, infatti la Cina costituisce uno “spaesamento del pensiero” occidentale.
E’ in questo modo che, spinti dal fascino di un pensiero esotico e dalle sue intriganti modalità di ragionare, noi riusciamo ad inquietare il nostro pensiero, e possiamo aprirci ad altre possibilità di prospettiva della mente e dello spirito. Uno dei temi più affascinanti del pensiero cinese è senza dubbio l’Arte dell’efficacia e della strategia militare, poiché essa è assolutamente diversa dal nostro modo consueto di pensare l‘Arte della guerra.
La mentalità occidentale deve tutto alla radice filosofica del pensiero greco, perciò usa questo modello filosofico e mentale per avere l’approccio alla realtà e, questa filosofia, è basata sulla costruzione preliminare di un modello del mondo che è precostituito sulla base dell’esperienza che viene pensata come ideale, a cui poi dobbiamo saper adattare i nostri successivi comportamenti, e la qualità della nostra azione sul mondo reale.
Per la mente occidentale è il preconcetto il fondamento di tutti gli schemi, poiché è il modello che guida i nostri passi e i nostri comportamenti: infatti prima pensiamo il nostro ideale poi, su questa idea, strutturiamo il mondo. Secondo Platone la forma ideale è preliminare, è preesistente a tutto, poi la volontà si dovrà impegnare per far manifestare la “modellizzazione” ideale nella realtà materiale futura. E‘ così che la mente costruisce il sogno a cui, successivamente, darà la manifestazione.
In campo militare, il modello ideale si attua quando un corpo di stato maggiore guidato da un generale, nella stanza del consiglio di guerra, stabilisce la strategia delle azioni militari prima ancora di dispiegare le sue truppe sul campo di battaglia. In modo similare la mente occidentale maneggia tutto il suo mondo, infatti così agisce il nostro pensiero in tutti gli aspetti della vita: personale, sociale, politico, e in tutti campi di azione in cui vediamo uomini che trattano con i loro simili, e in cui trattano con se stessi.
Laddove il modello fallisca il suo obiettivo, non per questo esso viene abbandonato ma, si costruiscono nuovi angoli, nuove misure e prospettive di aggiustamento, perciò costruzioni ancora più complicate, così lo stratega diventa un ottimo costruttore di schemi e di misure precise, al punto che l’ottimo stratega deve imparare a ragionare usando una mente da geometra. Ecco come il pensiero occidentale viene scisso tra i due versanti della teoria e della pratica, per cui inventa un “pensare il mondo” di tipo schizofrenico.
Aristotele, consapevole o sospettoso della scissione, vedendo la divisione tra le teorie e la realtà, pensò di usare una categoria intermedia di pensiero che chiamò “phronesis” cioè prudenza, affermando che essa deve sempre collegare i due lati dei versanti mentali, perciò bisogna usare una prudenza assoluta per collegare i modelli ideali della mente con la realtà pratica materiale. Nel canto omerico che loda Ulisse vi è un eroe che possiede metis, cioè un “fiuto” geniale e l’astuzia di una intelligenza che sa sempre sfruttare le situazioni a suo pieno vantaggio.
Attenzione però, perché il fiuto di Ulisse, non usa la furbizia che è lo sguardo miope di una intelligenza con obiettivi di corto raggio, ma è una qualità più raffinata ed abile che sa cogliere le strutture portanti dei contesti, cioè il senso delle cose in cui ci si trova inseriti, nel corso degli accadimenti della vita. Perciò l’eroe riesce ad accarezzare la vita usando il “verso del pelo” degli avvenimenti con rara sagacia.
Nella sagacia di Ulisse, sostenuto dalla protezione di Minerva, si unisce lo sguardo di lince e l’astuzia della volpe, condita dalla pazienza di saper aspettare il momento opportuno, e la pazienza è l’ingrediente essenziale usato anche dalla cucina di tutte le arti del buon vivere della mentalità cinese. Per la saggezza cinese, avere senso dell’opportunità non ha il valore dell’opportunismo con l’accezione negativa che noi gli diamo, perché significa saper valutare il senso dell’opportunità degli avvenimenti affinché si possa divenire dei saggi strateghi, sapendo valutare ciò che è adeguato ai tempi e contesti migliori.
La saggezza di sapersi appoggiare solo alle circostanze per non essere sconfitti dal peso di ciò che accade, è la manifestazione di una somma saggezza riguardo ai casi della vita, ed è l’unico modo per regnare sul mondo, aldilà dell’ampiezza dello spazio in cui esso si dispiega. La cosa strana è che il nostro pensiero occidentale ha investito tanto delle sue energie per creare delle strutture, e per creare dei modelli del mondo che non funzionano, se non forzando il corso delle cose, mentre per i cinesi antichi il massimo grado della virtù è non avere alcun modello precostituito del mondo, per poter ottenere il massimo dell’efficacia su di esso.
Con questo, che sembra un progetto “irragionevole” la millenaria civiltà cinese è divenuta perfetta e feconda in tutti i campi e in tutte le arti della vita. Se osserviamo attentamente l’arte della strategia come tecnica militare, vediamo che la Cina l’ha strutturata in tutto il corso della sua storia con una illuminante saggezza da usare bene ancora oggi. Per imparare un modo diverso di pensare dal nostro schizofrenico abuso del mondo, osserviamo questo pensiero, in cui non viene concesso alcuno spazio alle nostre aspettative sul mondo e sulle circostanze, ma vi è l’assoluto rispetto per il “potenziale della situazione” e non vi è alcuna forzatura violenta al corso delle cose.
E’ questo l’uso saggio delle variabili che intervengono negli accadimenti del mondo, perciò solo le condizioni ed i fattori favorevoli delle cose del mondo. Erroneamente si pensa che essi vogliano insegnarci che agli accadimenti ci si debba sottomettere con la massima rassegnazione e passività, ma questo non è assolutamente vero, e viene creduto solo da coloro che non conoscono la civiltà di cui stiamo ragionando.
La saggezza cinese insegna che le cose non si devono affrontare con l’uso di modelli preconfezionati del mondo, perché il mondo è pieno di vasi che non si fanno forgiare da noi, esso va per la sua strada, e siamo noi che dobbiamo saperne seguire il corso, adattandoci anche a galleggiare sul filo della corrente quando siamo stanchi di nuotare, o quando la forza del fiume è troppo superiore alle nostre forze: infatti il mondo è come è!
Nel mondo vi sono accadimenti che vanno gestiti con saggezza e senza paura, perciò vanno saputi valutare con il distacco dal sentimento, infatti nella guerra pensata con il pensiero, non esiste il coraggio o la codardia ma esiste solo un potenziale di situazione che ci rende coraggiosi oppure prudenti riguardo alle situazioni. Il coraggio non è una qualità umana primaria, ma esistono delle circostanze in cui si avanza e si vince, e vi sono delle circostanze in cui ci si ritrova a combattere fino all’ultimo sangue e fino all’ultimo respiro per uscirne fuori e, perciò si è costretti al coraggio.
In occidente si pensa di dovere dimostrare sempre il coraggio, invece il cinese pensa che ci si può comportare e essere costretti dalle situazioni in modo diverso, infatti si può essere costretti alla posizione del coraggio infatti, nella strategia militare, l’immagine è espressa come “fare salire in alto” e poi “togliere la scala” e perciò rimanere incastrati, e dover dimostrare il massimo del coraggio che si possiede.
Nessuna arte della guerra e della vita è pianificazione, ma è solo una saggia valutazione del migliore potenziale dei contesti in cui siamo inseriti, perciò la situazione si deve analizzare momento per momento, in modo da cogliere fluidamente il favorevole e lo sfavorevole delle cose e delle circostanze. Nell’arte della guerra e della strategia, secondo Sun Tzu, la vittoria in guerra non devia mai dal suo corso, in quanto è il risultato logico del potenziale delle cose così come esse sono, senza sforzi e violenze sugli accadimenti: in essa non vi è spazio per il caso o per la fortuna, ma vi è solo il calcolo delle componenti dei dati della realtà.
Nell’antichità occidentale si entrava in guerra dopo avere consultato il responso degli aruspici, che traevano i loro vaticini dall’analisi delle visceri degli animali sacrificati, o dall’osservazione del volo degli uccelli, o dal responso degli indovini. Sun Tzu vieta ogni ricorso a tali pratiche poiché non esiste alcun valore nell’intervento estraneo alla logica valutazione dei fatti, ed è questo che rende l’Arte della guerra una disciplina tanto educativa, affascinante e raffinata.
Nella guerra, come nella vita, quello che ha valore è solo ciò che abbiamo in mano alla fine del gioco, come nel gioco delle carte, perché ogni esito preliminare è imprevedibile. L’Arte della strategia e dell’efficacia militare insegna che non esiste alcuna utilità nel fissarsi in una immagine mentale del mondo e popolarla dei fantasmi dei nostri pensieri, mentre appare molto più conveniente valutare con lucidità il potenziale favorevole, momento per momento. L’arte strategica insegna come saper entrare nei processi e nelle trasformazioni della realtà con logica e saggezza.
Il migliore stratega in guerra, come nella vita, non forza mai violentemente le circostanze, ma scopre i suoi fattori di vantaggio e, di conseguenza, i fattori svantaggiosi del suo nemico e, coltiva pazientemente le situazioni affinché giunga a maturazione la piena vittoria militare. E’ per questo che Sun Tzu afferma che, nel grande generale non vi è nulla da lodare, poiché egli non ha alcuna sagacia e neppure coraggio, egli è solo un uomo comune che ha saputo scoprire e trarre vantaggio dalle situazioni, perciò afferma modestamente che egli non ha fatto nulla di rilevante.
Come può essere definito grande un generale che si muove in una condizione in cui tutto era già deciso, poiché la vittoria era nelle circostanze? Se la vittoria non richiede alcuno sforzo umano, nella situazione dello stratega che vince in una situazione già scontata, non vi è assolutamente alcun merito. Ecco perché il migliore stratega non ha meriti e non si loda, e perché il “non avere alcun merito” è il miglior merito.
Buona erranza
Sharatan