Lo scorso mese di agosto, dopo un volo decollato da Malpensa ad ore antelucane, dopo aver passato tutti i controlli dell’aeroporto Ataturk, dopo aver recuperato il bagaglio, dopo essermi imbarcata su di un pullman che fendeva abilmente il traffico della città il mio primo incontro con Istanbul e con la Turchia è stato proprio lì, a Sultanahmet.
Sultanahmet è una grande piazza che sorge nello spazio un tempo occupato dall’ippodromo (quello della rivolta di Nika), è il cuore della Istanbul turistica, lì sorge la Moschea Blu, laggiù, oltre le aiuole fiorite, si staglia la mole di Santa Sofia e dietro il palazzo Topkapi, al centro dello spiazzo l’obelisco di Teodosio e la fontana dell’imperatore Guglielmo, lì sostano i pullman carichi di turisti e si passeggia tra i venditori di caldarroste e di pannocchie abbrustolite.
Lì intorno, in un dedalo di strade, si spalancano le porte di infiniti ristoranti tipici: non si riesce a visitare Istanbul senza passare di lì almeno una volta al giorno.
Lì ho imparato a familiarizzare con la luce estiva di Istanbul, con i suoi suoni, con i suoi colori, con la sua folla cosmopolita.
Un attentato a Sultanahmet non è solo un attacco al cuore della Turchia, ma ne colpisce l’economia perché prende di mira il turismo e coinvolge, per forza di cose, dei cittadini stranieri, in questo caso dei cittadini tedeschi.
Non riesco a guardare le immagini senza sentire una stretta al cuore.