Summit della Celac: tutta l’America Latina contro l’embargo a Cuba

Creato il 29 gennaio 2015 da Eldorado

C’è uno spettro che aleggia su questo vertice della Celac ed è quello della sentenza assolutoria del gruppo narcos responsabile della morte dell’ambientalista Jairo Mora. Il verdetto è giunto martedì ed ha assolto tutti gli imputati per vari vizi di forma. A lavorare male, insomma, sarebbero stati la polizia ed il pubblico ministero su cui pende più di un sospetto. Mora venne ucciso nella notte tra il 30 ed il 31 maggio 2013 perché con le sue ronde per preservare l’integrità della deposizione delle uova delle tartarughe, intralciava i traffici dei cartelli della droga. Una bruttissima storia, che è valsa al Costa Rica la protesta dell’Onu, ma che soprattutto, dopo la ridicola sentenza, mette in discussione lo Stato di diritto di un paese che vuole vantare una lunga tradizione nell’ambito dei diritti e della democrazia. Tutto questo sotto gli occhi della comunità internazionale, presente in toto e in loco, che ha protestato per questa grossolana dimostrazione di impunità.
C’è anche questo in Costa Rica in questi giorni. Una parte dell’opinione pubblica sdegnata che scende in piazza a protestare, mentre i presidenti latinoamericani hanno dato il via ai lavori del summit. Rientrate le polemiche per le dichiarazioni di Maduro sulla presunta presenza di gruppi terroristici, le delegazioni hanno firmato una ventina di provvedimenti comuni per combattere e debellare la povertà. I tempi sono quelli indicati ieri: otto anni per ridurre a un terzo i dati attuali. Si parla di investimenti e di modello asiatico, così come di mettere a frutto il fatto che la regione latinoamericana è ancora oggi (nonostante secoli di saccheggi) ricchissima in materie prime: da qui si estrae quasi il 50% dell’argento in circolazione, il 25% dell’oro ed il 20% delle riserve petrolifere. Insomma, nuovi padroni, ma antichi sfruttamenti, almeno finché la Madre Terra dà.
Curiosità. Il discorso più lungo è toccato (secondo una lunga tradizione di famiglia) a Raúl Castro: 42 minuti. Un record di brevità, però, a confronto del fratello Fidel che ci aveva abituato a lunghissimi pistolotti. Il più corto invece è stato quello di Rafael Correa, che non ha superato i sette minuti, rivolti quasi tutti per ringraziare José Mujica che si avvia alla fine del suo mandato presidenziale. La successione degli interventi, lineare e tutto sommato scontata è stata interrotta dal colpo a sorpresa di Daniel Ortega. Il presidente nicaraguense ha infatti parlato brevemente prima di introdurre Rubén Berríos, leader del Partido Indipendentista Puertorriqueño. Colpo ad effetto, perché i cancellieri avevano escluso l’intervento di Berríos, così come il tema dell’indipendenza di Porto Rico dai lavori del summit. La provocazione ha suscitato il richiamo del presidente costaricano Solís, che con Ortega non è che vada proprio d’accordo, anzi, ma Berríos ha ottenuto lo stesso dieci minuti importanti per perorare la propria causa. Che poi, in fin dei conti, è causa di pochi, visto che l’indipendentismo a Porto Rico ha un seguito limitato.
La giornata si è chiusa con la condanna dell’embargo a Cuba. Raúl Castro, durante il suo discorso, ha definito un trionfo del popolo cubano il ripristino delle relazioni con gli Stati Uniti, ma è stato contundente sull’embargo, che pretende soggiogare il diritto dei popoli all’autodeterminazione ed è ormai una reliquia storica. Tutti d’accordo e firma comune sul documento che sarà pronto oggi. Nonostante la brevità di alcuni discorsi, rimangono ancora sei interventi con i quali si aprirà la sessione odierna.


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