Superare la cultura dello scarto e dell’indifferenza

Da Agueci

Richiesta di una nuova morale a partire dalla solidarietà

La parola “scarto” proviene dal verbo scartare e assume parecchi significati. Indica liberare qualcosa da un involucro di carta, oppure, nel gioco, eliminare le carte ritenute inutili. Più in generale: eliminare, rifiutare, respingere come inutile, non conveniente, non buono, non adatto, in seguito a una selezione. Oggi, spesso, con il concetto «cultura dello scarto» si fa riferimento ai beni ambientali e si parla degli effetti negativi che produce tutto ciò che non serve all’uomo ed è eliminato in natura: plastica, prodotti chimici, ecc. Si parla, ad esempio, che nell’oceano Atlantico esistono due isole ampie come gli Stati Uniti, composte da scarti dei mari che quivi si accumulano. Gli effetti che producono, dal punto di vista ecologico, sono immani. Si pensi solamente a tutto il sistema ittico, ai numerosi pesci e cetacei che ingoiano piccole particelle di plastica, alla morìa in grande masse dovute a sostanze chimiche e nocive per la natura.

La «cultura dello scarto» fa anche riferimento a tutte quelle categorie di marginalizzati, come giovani e anziani, anche loro messi da parte perché non ancora efficienti nella società o non lo sono più, ma anche ai bambini mai nati. A queste si aggiungono tutti quelli che, secondo il nostro modo di pensare, appartengono a culture diverse o a modi di concepire e vivere la quotidianità, come gli immigrati.

Al concetto precedente si associa oggi un altro termine che è «corruzione», ovverossia degrado dell’ambiente, anche di quella deresponsabilizzazione che anestetizza la sensibilità morale. La «corruzione» è arrivata a un livello così esteso che sembra quasi che sia questo il principio morale e chi non lo persegue diventa lui amorale. La corruzione ha toccato tutti i livelli, politici, sociali e ecclesiali, ponendo l’uomo, che dovrebbe avere responsabilità, in una posizione d’indifferenza, verso i propri amministrati e verso coloro per i quali si opera (o meglio: per i quali si dovrebbe operare). La politica, intesa come bene comune, è diventata mezzo per raggiungere gli interessi egoistici e i propri lauti guadagni, a scapito dei molti che soffrono e si trovano a vivere a stento.

Di fronte a questo degrado morale c’è un sentire comune di assuefazione e resa, come se non ci fosse più nulla da fare. Non bisogna, però, perdere la speranza. Occorre trovare il punto di partenza. Scrive Simone Morandini che «di fronte allo scarto e alla indifferenza, la solidarietà appare allora come essenziale, positiva reazione morale: proprio la rinnovata centralità conferita ai marginali diviene motore di un protagonismo sociale solidale» (Il Regno, EDB, n. 2, p. 92).

Le parole continue del Papa Francesco e l’attenzione agli “ultimi” con gesti concreti, come anche i richiami della Conferenza Episcopale Italiana alla questione morale, diventano allora non solo il volano per una riflessione a una rinnovata azione di lancio, ma indicano la strada da percorrere che è della solidarietà sociale.

La solidarietà sociale impone l’attenzione alle storie singole e alle esperienze di ognuno. La massificazione di un tempo deve fare spazio al valore, alla creatività e all’apporto dei singoli. È la valorizzazione di ogni persona che è capace di generare cambiamento. Valorizzazione e cambiamento producono, a sua volta, moralità. E vita morale è lasciarsi trasformare da Cristo giacché Egli si è umanizzato in noi e per noi.

È l’ora di dare significato alle parole per capire profondamente la Parola e viverLa coerentemente: lo scarto della storia e degli uomini di ciò che vale poco e nulla è diventato valore per Dio. Noi chi ci crediamo di essere? Chi ci autorizza a considerare “segatura” il nostro simile, fino al punto da non renderlo partecipe della gioia della Pasqua? L’abbassamento, la kénosi, non è mai fine a se stessa, ma è semmai preludio di gloria duratura.

SALVATORE AGUECI


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