SUPERHOT - Recensione

Creato il 26 febbraio 2016 da Lightman

Il tempo si muove solo quando lo fai anche tu. E' questa la premessa di uno degli FPS più originali degli ultimi anni, in grado di catturare l'attenzione anche per un aspetto estetico estremo e senza compromessi.

Versione analizzata: PC

Alessandro "Neon" Mazzega prende confidenza fin da tenera età con pad e tastiera e si appassiona rapidamente al mondo dei videogiochi, lavorando come giornalista sulle principali realtà online e occupandosi di sviluppo, attualmente in Forge Reply. Bassista fallito, ha ormai venduto lo strumento per passare dietro al microfono, sia per cantare che per condurre il podcast Gaming Effect. Cercatelo su Facebook, su Twitter e su Google Plus.

Sarà il poco tempo a disposizione, spesso limitato a quarantotto intensissime ore. Oppure la voglia di stupire, o magari la giovane età dei partecipanti, in grado di pensare fuori dagli schemi e senza l'influenza di trent'anni di industria dei videogiochi, con i suoi stilemi e le sue storture. Sta di fatto che le game jam sono ormai universalmente riconosciute come eventi in grado di far emergere una creatività spesso potente e pervasiva: durante questi eventi nascono periodicamente idee particolari, meccaniche di gioco che nessuno aveva mai avuto il coraggio di immaginare, direzioni artistiche ardite e senza compromessi.
SUPERHOT è sbocciato esattamente così, durante una jam chiamata 7DFPS, ovviamente a tema shooter in soggettiva.
Probabilmente non sapremo mai se il gruppo di ragazzi polacchi che ha ideato SUPERHOT abbia avuto un'intuizione geniale durante la jam oppure la genesi del gioco sia avvenuta per caso, magari per un bug che ha legato lo spostamento del personaggio allo scorrere del tempo. Ciò che sappiamo è che grazie a quel dettaglio, ad una direzione artistica azzeccata e all'intraprendenza del team, SUPERHOT è prima diventato una campagna Kickstarter di successo e poi un gioco fatto e finito, espanso nel concept e nella visione rispetto a quel primo livello giocabile composto così di fretta.
Dopo averne seguito lo sviluppo sin dalla prima beta ci siamo avvicinati alla versione finale per PC, scoprendo un gameplay magnetico e perverso, in grado di spremere le meningi invece dei riflessi, che cattura il giocatore non solo durante l'azione, grazie ad una trama narrata in maniera davvero inusuale.

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Il primo avvio d i SUPERHOT spiazza subito il giocatore: uno schermo in stile DOS attende l'ignaro utente che probabilmente si aspetta un FPS atipico, ma non fino a questo punto. Il sapore è quello dei PC dell'era 80386, dei primi modem, delle BBS come progenitrici del web. Chi ha vissuto quell'epoca si ricorderà che lo scambio di floppy disk era pratica comune, che per far partire un gioco era spesso necessario modificare a mano i file di configurazione del sistema operativo, che le interfacce grafiche si navigavano con un cursore, vincolato da pipe e underscore a formare finestre e pulsanti. Prima dell'azione, SUPERHOT utilizza questa interfaccia d'antan per dare spazio alla trama, immergendo il giocatore nel suo mondo: si apre una chat, grezza come quelle disponibili alla fine degli anni '80. Un misterioso amico si offre di inviarci qualcosa di mai visto prima, un pacchetto che -sostiene- rivoluzionerà il nostro modo di concepire il rapporto con un personal computer. Il conseguente download ci mette di fronte al file SUPERHOT.EXE che brama di essere lanciato, e ovviamente non possiamo trattenere la curiosità. Allucinata e paranoide, la trama procederà da qui in avanti attraverso le stesse suggestioni meta-videoludiche di Pony Island e di tanti altri titoli sperimentali (come il recente Calendula): efficace anche se non proprio originale, riesce ad incuriosire il giocatore fino alla fine, infilandosi improvvisamente fra un set di livelli ed il successivo.
Oltre allo stupore per questo racconto che in qualche modo rompe la quarta parete del videogame, il giocatore verrà pervaso da quello per la parte ludica di SUPERHOT, che poco dopo aver lanciato l'eseguibile di cui si diceva si manifesterà in tutto il suo geometrico splendore. Verremo accolti da una visuale in prima persona: il bianco abbacinante delle pareti domina l'inquadratura, in pieno contrasto con il rosso dei proiettili e dei nemici che ci ritroveremo ad affrontare. Il dualismo non è però come quello visto Mirror's Edge, pensato per aiutare l'utente: è una precisa scelta artistica che impone invece un senso di sorpresa e straniamento, rendendo questo mondo digitale al contempo asettico e minaccioso.

Saranno le scritte che per pochi istanti si manifestano in sovrimpressione, come lampi subliminali che vogliono fissare un concetto nella nostra testa, ma siamo pervasi da un senso di tremenda emergenzialità. Nella nostra mano destra stringiamo una pistola che ha sparato da pochi istanti: il colpo ha appena trapassato la sagoma che abbiamo di fronte, e stiamo assistendo al suo lento dissolversi. Il tempo sembra sospeso, e la figura in rosso si sta sgretolando in una nube di poligoni rossi, taglienti schegge ferme a mezz'aria. Il movimento di questi frammenti è appena percettibile: capiamo quindi che il tempo non è sospeso, ma dilatato fino all'eccesso. Appena mosso un passo, però, il tempo ricomincia a scorrere normalmente e la persona che avevamo davanti svanisce in un lampo.

Non ti riconosco più

Molti di voi avranno avuto modo di provare SUPERHOT in una delle varie fasi dello sviluppo, magari mettendo le mani sulla prima beta (datata Luglio 2015). In questa versione finale il gameplay è rimasto ovviamente lo stesso, ma l'aspetto visivo ha avuto una netta evoluzione. Dal punto di vista prettamente grafico il vecchio SUPERHOT era molto più sporco, scuro, mentre la versione finale è luminosa, quasi accecante, e ha modelli 3D più rifiniti, dettagliati, in qualche modo realistici in un contesto così onirico. Riprovando le due versioni si ha la percezione che qualcosa sia andato perso, non tanto visivamente ma in termini di coerenza: i menu, che simulano il terminale di un vecchio sistema operativo, sono rimasti molto simili al concept iniziale, e il loro stile si sposava meglio con l'aspetto più grezzo del "vecchio" SUPERHOT. Ovviamente si tratta di un parere personale ed è un dettaglio che gli utenti che acquisteranno il gioco solo adesso. È però interessante che strumenti come Kickstarter possano, in qualche caso, permettere ai giocatori di seguire il processo di sviluppo, soppesando i cambiamenti creativi che portano al risultato finale.

Questa particolare meccanica di gestione del tempo di gioco (scorre solo se ci muoviamo, mentre è rallenta fino a fermarsi se stiamo sul posto) è l'aspetto è cruciale attorno a cui si innesta il ragionatissimo gameplay di SUPERHOT. L'idea ha un valore non solo ludico, ma anche coreografico: spostandoci lentamente mentre riversiamo i proiettili sui nostri avversari è possibile assistere a travolgenti slow motion, nei quali le pallottole danzano lasciando una scia, e chi è colpito subisce l'impatto del proiettile un muscolo digitale alla volta.
Dal punto di vista delle meccaniche di gioco, il concept di SUPERHOT è un cambio di paradigma non indifferente per un FPS. Il genere ha sempre preteso riflessi pronti, istinto per lo strafe e uso oculato delle coperture. Qui invece ogni passo va ponderato, con tutta la calma possibile, cercando di capire da che direzione arriverà la prossima minaccia e limitando i movimenti al minimo, in modo da gestire le situazioni e non finire con una lama conficcata nel fianco, una mazza contro la spina dorsale o un colpo di fucile a pompa in pieno volto. Bastano un paio di livelli per capire che SUPERHOT non è un vero FPS, esattamente come non lo era Portal. Il gameplay, la dimensione ridotta dei livelli, la necessità di pensare e valutare il da farsi prima di agire, lo fanno virare fortemente in direzione del puzzle game. Ci accorgeremo per altro che, nonostante la possibilità di bloccare il tempo e pensare ad una strategia d'attacco efficace, la difficoltà è brutale e sarà necessario provare, riprovare, provare ancora, sperimentando approcci differenti per riuscire a portare a casa la pelle.

Come se non bastasse, SUPERHOT offre alcune chicche molto azzeccate, che alimenteranno stupore e adrenalina: le armi si scaricano in fretta e non c'è modo di sapere quanti proiettili sono presenti nel caricatore di una pistola appena raccolta. Se siamo a corto di munizioni lo scopriremo soltanto una volta tirato il grilletto. Che fare quindi? Si potrà lanciare l'arma ad un'avversario, magari mirando al braccio o al volto, facendogli perdere l'equilibrio e prendendo al volo quel piede di porco che stava brandendo un attimo prima, e del quale ha perso la presa a causa dell'impatto. Si può intuire facilmente l'esito di un confronto del genere, a meno che non ci si sia dimenticati di un altro avversario, dotato di spada e che stava correndo verso di noi da una direzione differente, al limite del nostro campo visivo. Gli scontri di SUPERHOT sono insomma danze di morte digitale, e ogni livello assomiglia alla coreografia di un film esagerato, nel quale dare il meglio di sé per soverchiare gli avversari nel modo più spettacolare, estremo e dinamico possibile. Peccato che la durata complessiva di questa intensa esperienza sia abbastanza limitata, anche se progredendo nei livelli è possibile sbloccare numerosi elementi collaterali, come modificatori abbastanza folli e altre perle, sempre annidate nell'interfaccia, tutta da esplorare.

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