Credit: NASA/JPL/GSFC/Arizona State University
L'antica superficie di Marte potrebbe esser stata ripetutamente scossa da supervulcani giganti che avrebbero scatenato colossali ed esplosive eruzioni in grado di cambiare per sempre il volto del pianeta.
Esaminando un'antica zona di Marte, Arabia Terra, gli scienziati hanno scoperto quelli che potrebbero essere i resti di un supervulcano, ossia di un vulcano in grado di produrre fino a 1000 chilometri cubi di materiale durante la sua attività.
Oggetto dello studio è stato uno dei tanti crateri presenti nella regione, soprannominato Eden Patera, dalla forma irregolare ma con caratteristiche di supervulcano, una peculiarità geologica mai dimostrata finora sul Pianeta Rosso.
Gli autori, Joseph Michalski e Jacob Bleache, ricercatori presso il Natural History Museum di Londra, hanno documentato i loro risultati con un articolo in corso di pubblicazione sulla rivista Nature.
"Non conosciamo l'età esatta di questi supervulcani ma pensiamo che siano molto antichi. Riteniamo che risalgano al primo miliardo di anni di storia del pianeta", spiega Michalski.
Credit: ESA/Mars Express/Freie Universitat Berlin
Il supervulcano potrebbe contribuire a spiegare un mistero della geologia marziana.
Gli scienziati già avevano ipotizzato che il materiale a grana fine depositato nella regione Arabia Terra provenisse da attività vulcanica, di cui però non era stata trovata alcuna evidenza.
Lo studio di Michalski suggerisce che, strati di materiale si sarebbero depositati dopo l'eruzione esplosiva di Eden Patera, che potrebbe aver eruttato almeno tre volte nella sua storia.
Tali condizioni si sarebbero ripetute altrove sul pianeta e più supervulcani potrebbero aver trasformato la superficie di Marte ed aver giocato un ruolo fondamentale per il clima e l'abitabilità passata.
Credit: NASA/JPL/MSSS/Google
Fino ad oggi i ricercatori stavano sostanzialmente cercando il vulcano sbagliato.
Osservando il Pianeta Rosso, infatti, hanno sempre trovato le evidenze dei più recenti vulcani a scudo, simili a quello delle Hawaii, chiedendosi dove fossero finiti vulcani più antichi.
In realtà distinguerli non poteva esser così semplice: i supervulcani infatti non creano grosse montagne e così sono rimasti nascosti, trasformati dal tempo, dagli agenti atmosferici e da impatti.
Michalski e il suo team ne hanno trovato i segni caratteristici, utilizzato i dati provenienti dagli strumenti di bordo della sonda Mars Global Surveyor (che ha terminato la missione nel 2006), dell'orbiter Mars Odyssey, del Mars Reconnaissance Orbiter ed altri.
Ma anche i due rover, Opportunity e Curiosity, al lavoro su Marte potrebbero rafforzare la testi: i supervulcani della zona equatoriale, infatti, sarebbero responsabili dei depositi di polvere che i rover hanno trovato rispettivamente in Meridiani Planum e nel cratere Gale.
In un nostro articolo di circa un anno fa, "MISSIONI SU MARTE: UN PO' DI STORIA, ALCUNE RIFLESSIONI", avevano avanzato qualche speculazione scrivendo:
E se, invece, a causa di un qualche importante evento geologico il metallo fuso del nucleo fosse stato espulso proprio da questi grandi vulcani? Allora le profonde bocche verso il centro del pianeta sarebbero le responsabili dell'attuale carenza di un campo magnetico marziano. Le berries ferrose che caratterizzano l'odierno paesaggio, la cui origine è ancora discussa, potrebbero essere proprio il risultato di tale evento catastrofico.
La nostra ipotesi è che parte del metallo liquido del nucleo sia stato espulso e si sia raffreddato precipitando e aggregandosi nell'acqua, all'epoca presente, originando le classiche sferule che ora vediamo disseminate sul suolo marziano e sedimentate in altre rocce di superficie.