E’ difficile, se non impossibile, raccontare la trama di questo film separata dall’interpretazione e dal commento critico, tanto gli atti e i gesti dei personaggi sono connotati e densi di significato. Il film – tratto da un manga famoso e toccante degli anni ’90 di George Akiyama - si apre e si chiude sull’immagine del protagonista che urla al cielo “Perché sono nato?”. In mezzo una storia di esistenze brutali non, o non solo, perché violente ma soprattutto perché ridotte al minimo comun denominatore dell’essere umani. Sesso, cibo, denaro sono gli unici motivi che muovono le azioni dei personaggi in un ambiente fosco, un’isola sperduta chiaro emblema della società umana. All’inizio del film, il protagonista arriva sull’isola senza bagagli, solo con una busta contenente qualche soldo, presumibilmente una piccola liquidazione. Si capisce che è stato anche in carcere ma non è un assassino, piuttosto un balordo violento. Affitta una stanberga al prezzo più basso possibile e si sfama con i noriben, l’obentō(scatola di cibo monoporzione da portare via) più semplice ed economico che ci sia, fatto solo di alghe nori e riso. Al negozio conosce una donna molto bella ma segnata da una drammatica macchia violacea sulla guancia. I due in qualche modo si attraggono, uniti dal fatto di essere entrambi dei reietti per un qualche motivo, a cominciare dal condividere sordide esperienze famigliari. La loro relazione inizia sotto il segno della violenza, l’uomo praticamente la stupra, ma lentamente trovano una seppur travagliata intesa. Quando lei rimane incinta, l’uomo rifiuta il fatto, fugge ma ritorna e accetta la realtà fino a costruire una famiglia. Intorno a loro, un unico verminaio, un universo di livori, invidie, inganni e tradimenti che in più di un caso porta al suicidio. Ciononostante il meccanismo non si ferma, uomini e donne continuano a cercare i piaceri materiali più immediati, a cominciare dalla zia della protagonista che inizialmente detesta l’uomo ma dopo che lui la violenta ripetutamente, ne diventa l’amante fedele nel corso degli anni. Un microcosmo chiuso e cupo, di cui pare quasi di sentire il calore greve e di vivere la rabbia e il rancore di chi lo abita. Il protagonista, con tutti i suoi difetti, anzi attraverso i suoi difetti, è colui che di volta in volta critica o fa risaltare la falsità di chi si spaccia per una persona perbene. E’ il caso della zia della donna oppure di un manager zelante seguace di una nuova religione che se la fa con una dipendente sotto gli occhi del marito fino a condurlo al suicidio. Nonostante questi e altri aspetti simili, non sembra esserci nel regista una volontà di esprimere un particolare giudizio morale. Il suo pare essere piuttosto lo sguardo disincantato e dolente che abbraccia la natura stessa degli esseri umani e da cui nessuno è esente. Non c’è condanna, non c’è redenzione. Il mondo va avanti così, sembra dirci cinicamente. Ma come riesce a dircelo con intensità! Non sono frequenti rappresentazioni così linearmente strazianti della società umana. Si potrebbero citare Cold Fish (Tsumetai nettaigyo, 2010) di Sono o i recenti Backwater (Tomogui, 2013) di Aoyama Shinji e TheRavine of Good-bye (Sayonara keikoku, 2013) di Ohmori Tatsushi, ma tutti inscenano un caso particolare o eccezionale, mentre qua ciò che colpisce è il tremendo fluire normale degli eventi. E quando il figlio di circa dieci anni dei protagonisti, urla rabbioso che piuttosto che vivere con due genitori così non avrebbe voluto mai essere nato, non si può non restare agghiacciati più che davanti a qualsiasi scena di sangue e violenza.Omori Nao nel ruolo del protagonista è straordinario nel suo riuscire a comunicare violenza e disperazione anche con i più piccoli movimenti. Taguchi Tomorowo nella parte minore del manager adultero è sempre bravo.Il regista Sakaki Hideo è molto noto come attore. Ha infatti interpretato una cinquantina di film anche molto diversi fra di loro, da Versus, Alive, Ju-on: The Grudge, vari Kamen Raider, fino al recente Still theWater (Futatsume no mado, 2014) della Kawase. Ogni tanto fa un’incursione dietro la macchina da presa – suoi erano gli interessanti My Grandma (Boku no obaachan), del 2008 e Accidental Kidnapper (Yūkai Rhapsody) del 2010 - e, almeno in questo caso, i risultati sono notevoli. Aspettiamo con ansia la sua prossima fatica, storia di un ex-capo yakuza mutilato di braccia e piedi che per vivere riscuote debiti. [Franco Picollo]
E’ difficile, se non impossibile, raccontare la trama di questo film separata dall’interpretazione e dal commento critico, tanto gli atti e i gesti dei personaggi sono connotati e densi di significato. Il film – tratto da un manga famoso e toccante degli anni ’90 di George Akiyama - si apre e si chiude sull’immagine del protagonista che urla al cielo “Perché sono nato?”. In mezzo una storia di esistenze brutali non, o non solo, perché violente ma soprattutto perché ridotte al minimo comun denominatore dell’essere umani. Sesso, cibo, denaro sono gli unici motivi che muovono le azioni dei personaggi in un ambiente fosco, un’isola sperduta chiaro emblema della società umana. All’inizio del film, il protagonista arriva sull’isola senza bagagli, solo con una busta contenente qualche soldo, presumibilmente una piccola liquidazione. Si capisce che è stato anche in carcere ma non è un assassino, piuttosto un balordo violento. Affitta una stanberga al prezzo più basso possibile e si sfama con i noriben, l’obentō(scatola di cibo monoporzione da portare via) più semplice ed economico che ci sia, fatto solo di alghe nori e riso. Al negozio conosce una donna molto bella ma segnata da una drammatica macchia violacea sulla guancia. I due in qualche modo si attraggono, uniti dal fatto di essere entrambi dei reietti per un qualche motivo, a cominciare dal condividere sordide esperienze famigliari. La loro relazione inizia sotto il segno della violenza, l’uomo praticamente la stupra, ma lentamente trovano una seppur travagliata intesa. Quando lei rimane incinta, l’uomo rifiuta il fatto, fugge ma ritorna e accetta la realtà fino a costruire una famiglia. Intorno a loro, un unico verminaio, un universo di livori, invidie, inganni e tradimenti che in più di un caso porta al suicidio. Ciononostante il meccanismo non si ferma, uomini e donne continuano a cercare i piaceri materiali più immediati, a cominciare dalla zia della protagonista che inizialmente detesta l’uomo ma dopo che lui la violenta ripetutamente, ne diventa l’amante fedele nel corso degli anni. Un microcosmo chiuso e cupo, di cui pare quasi di sentire il calore greve e di vivere la rabbia e il rancore di chi lo abita. Il protagonista, con tutti i suoi difetti, anzi attraverso i suoi difetti, è colui che di volta in volta critica o fa risaltare la falsità di chi si spaccia per una persona perbene. E’ il caso della zia della donna oppure di un manager zelante seguace di una nuova religione che se la fa con una dipendente sotto gli occhi del marito fino a condurlo al suicidio. Nonostante questi e altri aspetti simili, non sembra esserci nel regista una volontà di esprimere un particolare giudizio morale. Il suo pare essere piuttosto lo sguardo disincantato e dolente che abbraccia la natura stessa degli esseri umani e da cui nessuno è esente. Non c’è condanna, non c’è redenzione. Il mondo va avanti così, sembra dirci cinicamente. Ma come riesce a dircelo con intensità! Non sono frequenti rappresentazioni così linearmente strazianti della società umana. Si potrebbero citare Cold Fish (Tsumetai nettaigyo, 2010) di Sono o i recenti Backwater (Tomogui, 2013) di Aoyama Shinji e TheRavine of Good-bye (Sayonara keikoku, 2013) di Ohmori Tatsushi, ma tutti inscenano un caso particolare o eccezionale, mentre qua ciò che colpisce è il tremendo fluire normale degli eventi. E quando il figlio di circa dieci anni dei protagonisti, urla rabbioso che piuttosto che vivere con due genitori così non avrebbe voluto mai essere nato, non si può non restare agghiacciati più che davanti a qualsiasi scena di sangue e violenza.Omori Nao nel ruolo del protagonista è straordinario nel suo riuscire a comunicare violenza e disperazione anche con i più piccoli movimenti. Taguchi Tomorowo nella parte minore del manager adultero è sempre bravo.Il regista Sakaki Hideo è molto noto come attore. Ha infatti interpretato una cinquantina di film anche molto diversi fra di loro, da Versus, Alive, Ju-on: The Grudge, vari Kamen Raider, fino al recente Still theWater (Futatsume no mado, 2014) della Kawase. Ogni tanto fa un’incursione dietro la macchina da presa – suoi erano gli interessanti My Grandma (Boku no obaachan), del 2008 e Accidental Kidnapper (Yūkai Rhapsody) del 2010 - e, almeno in questo caso, i risultati sono notevoli. Aspettiamo con ansia la sua prossima fatica, storia di un ex-capo yakuza mutilato di braccia e piedi che per vivere riscuote debiti. [Franco Picollo]
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