Non vedono davanti agli occhi, nel mentre stringono mani al Teatro Dell’Aquila, quelle maledette quattro colonne di cemento armato che sono il monumento alla sconfitta e al pressapochismo e fanno bella mostra di sé in quel luogo che chiamiamo “Villaggio dello Sport”. Quelle quattro colonne annerite dall’umidità che avrebbero dovuto essere il tempio della pallacanestro cittadina e, invece, sono il tempio delle malve e dei cardi. Non sentono questa stessa mia tristezza nel vedere questo impoverimento ulteriore della nostra città, questa necessità di reperire soci del Club che sostiene la squadra “nel territorio” e non nel tessuto sociale cittadino nel vedere che questi soci “del territorio” pesano più delle radici della squadra, della sua storia, delle sue origini, pesano tanto da portarla altrove anche per festeggiare, non solo giocoforza per praticare il basket non essendo un luogo deputato disponibile in città. Tristezza dai sorrisi.
E rabbia. Rabbia per l’apatia dei miei concittadini. Accecati dal tifo, dall’amore per la squadra, non vedono che non è più loro, non si indignano per questo perpetrarsi del progressivo furto di un bene comune, che pezzo dopo pezzo se ne va altrove lasciando il vuoto, i ricordi, la memoria, e le maledette quattro colonne al Villaggio dello Sport.
Francamente mi sento solo quando per l’ennesima volta scrivo di questo argomento. Mi sono ripromesso più volte di non parlarne più ma non riesco, trascinato dalla rabbia e dalla tristezza. Intendiamoci: non ce l’ho affatto con la Sutor, tutt’altro. Questi miei sfoghi sono dettati dalla sofferenza nel vedere un pezzo anche della mia storia personale, della mia giovinezza, dei miei ricordi delle partite giocate al vecchio palazzetto quando ancora lo chiamavamo “la palestra”, di quei fantastici play off con Porto Recanati per andare in serie B la prima volta. Non mi do pace nel pensare che rimarranno solo ricordi, che il futuro della Sutor sarà altrove. Nel silenzio dei mie concittadini e tra i sorrisi di ordinanza dei politici.