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Svantaggio sistematico e violenza strutturale in "Teorie su equità e giustizia sociale" (Franco Angeli-editore) / Note di lavoro (6)

Creato il 26 settembre 2012 da Marianna06

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Il prof. Antonio Maturo, a proposito di giustizia sociale tra  svantaggio sistematico e violenza strutturale, prende in esame le rispettive visioni di pensiero di Madison Powers,di Ruth Faden e di Paul Farmer.

I primi due , Powers e Faden, sono mossi da un’angolazione riformista, sulla scia di Sen e della Nussbaum e in parte, ma solo in parte, di John Rawls, rispetto alla precedente “letteratura” del settore; Paul Farmer ,invece medico-antropologo, un autentico radical, è colui che parte nell’argomentare da quelle che sono assolutamente delle testimonianze concrete di violenza strutturale, di cui ha conoscenza diretta e non certo manualistica

Compito di chi studia il fenomeno è  per lui, Farmer quindi, essenzialmente denunciare il carattere contingente di quei meccanismi, fondati su di un particolare  sistema economico, meccanismi spesso dati per imprescindibili. Mentre così non è affatto.

Powers e Faden –scrive Maturo – mettono al centro della loro riflessione il concetto di benessere e ne individuano le dimensioni costitutive.

Giustizia sociale, a loro avviso, è il raggiungimento di un livello minimo in ogni dimensione del benessere, che essi propongono e che ravvisano in numero di sei.

Si tratta di salute, sicurezza personale, capacità cognitive e ragionamento pratico (reasoning), rispetto, affettività e autodeterminazione.

Perciò se manca o è deficitaria nell’esistenza di una persona una di queste dimensioni non si arriverà mai a quel benessere minimo auspicato.

Se la giustizia  sociale poi  privilegia  solo  le urgenze morali e  prescinde dai progetti e dagli scopi della persona, sbaglia ed è fuori pista.

 Per la”salute”,molto centrale nel loro pensiero, i due studiosi parlano d’integrità del funzionamento biologico e di  mancanza di dolore.

 E si mostrano critici nei confronti della definizione che di salute propone l’Organizzazione Mondiale della Sanità(OMS), che parlando di benessere fisico, psichico e sociale generalizza e ascrive qualsiasi deficit di  benessere semplicemente ad un deficit di salute.

 Mentre le rimanenti dimensioni del loro schema, secondo Powers e Faden, sono altrettanto fondamentali, perché s’interconnettono tutte nel raggiungimento dell’obiettivo.

 E cioè quello appunto del benessere minimo  della persona e di giustizia sociale tradotta in concreto.

Essi, comunque, non ritengono che il benessere  tra le persone debba essere distribuito in maniera uguale ma ritengono assolutamente necessario il raggiungimento della soglia minima.

Questo, però, significa per loro che per tutti ci devono essere uguali possibilità alla partenza. Pertanto per il pensiero di Powers e Faden si può tranquillamente parlare di egualitarismo.

Se così non fosse, come poi è nella realtà effettuale e non nel bel  libro dei sogni, povertà è sinonimo di vulnerabilità, il che significa che, ciò che per chi povero non è, è problematico, per il povero diviene inderogabilmente tragico.

E, ancora, gli effetti della povertà tendono ad amplificare i differenti problemi presenti e si diffondono anche in ambiti non strettamente economici.

Si ritorna, pertanto, ai sei punti della tabella iniziale proposta.

Paul Farmer, preso in prestito da Galtung il concetto di violenza strutturale,  mostra attraverso esempi concreti che, a partire dalla matrice sociale in cui l’individuo è inserito, il suo destino è già bello che confezionato.

Assolutamente da leggere di lui “Pathologies of power”, in cui racconta tante e diversissime storie a testimonianza della sua tesi di ricercatore sul campo.

 Come, ad esempio, la bellissima quanto tragica storia dell’haitiana Acéphie,  giovane in seguito ad aver contratto l’ aids, per dimostrarci che la violenza strutturale, che nasce da forze e processi storicamente dati e, spesso, economicamente pilotati, limita le capacità d’azione della persona.

Pertanto per Farmer il compito delle scienze sociali è quello di disvelare, togliere appunto il famoso velo,da quei meccanismi del potere che generano e alimentano violenza strutturale (e i casi sono tantissimi anche a casa nostra).

 E soprattutto non scambiare ciò che è assolutamente contingente con ciò che si vorrebbe far passare per ontologico.

Più che assolutizzare il “come” tra violenza strutturale e giustizia sociale è imprescindibile indagare semmai sul "perché".

In conclusione Paul Farmer fornisce, mediante i suoi casi-studio, le spiegazione del  “come” e del “perché” è possibile agire sulle dimensioni del benessere, individuate da Powers e Faden.

 

   a cura di Marianna Micheluzzi (Ukundimana)

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