E' una parola che suona bene in ceco, per il senso che vuol dare.
Significa "idiota", ma in senso buono, di grullo, scimunito. E Švejk è un blbec patentato, come si definisce lui, un'idiota di prim'ordine, "blbec prvního řádu". Ne fa una sorta di patente, di lasciapassare per attraversare il periodo di decandenza e dissoluzione dell'impero austro-ungarico all'inizio del novecento.
Rileggere le vicissitudini del bravo soldato Švejk durante la guerra mondiale è un esercizio che ogni tanto mi concedo per riassaporare quel gusto delle locande praghesi, quell'odore a di luppolo e tabacco, quel rumore ciottoloso delle stradine di Mala Strana.
Si chiamano "pabitely", come ricorda Ripellino, quegli assordanti chiaccheroni nullafacenti che si appoggiano coi gomiti ai tavolini delle osterie lungo la Nerudova, fra le bettole del quartiere di Žižkov, nelle locande di Brevnov, e fra una birra e un grog mettono in fila storie infinite, chiacchiere rutilanti, disavventure meravigliose.
E poi il candore di Švejk, quella scanzonata intelligenza, perché di idiozia intellingente in realtà si tratta, quella cantilena affabulatoria, quelle storie piene di umorismo e di drammi narrati con incredibile soavità. E c'è quel particolare mondo, quelle atmosfere dell'ambiente soldatesco della storia ceca, fatto di grandi eroismi e di strampalati stratagemmi per sopravvivere all'idiozia, quella vera, della guerra.
Davvero lo spirito cèco incarnato in un personaggio fantastico, che si accompagna nell'immaginario collettivo ceco all'altro, l'opposto, il signor K. di Kafka. E come nel sogno raccontato da Ripellino, non si può fare a meno di immaginarli mentre si incrociano per la Nerudova, Švejk che viene accompagnato dai due buffi soldati, lo spilungone e il grassoccio, nella via che dal Castello, attraversando il ponte Carlo, porta alla residenza del cappellano militare, mentre il signor K. viene scortato dai due neri gendarmi, per la strada che dalla piazza di Mala Strana conduce fino a Strahov. Si sa per certo, chi dei due, incrociandosi, avrebbe iniziato la conversazione."Faccio umilmente notare - avrebbe esordito come sempre il buon Švejk - come lei signore, ed io per la mia modesta parte, siamo fratelli di un'unica gente, che si arrangia con un'ingenua, affabulatoria poesia a scardinare le tenaglie di piombo che ci tengono legati. Se ne ricordì lassù a Strahov, mentre le fanno la pelle. Non è poi una così brutta fine. Pensi che conoscevo una volta un tornitore che frequentava un'osteria a Brevnov che..."