“
Ci pensava su da
giorni e quel pensiero la costringeva più del reggiseno in cui ogni
mattina rinchiudeva i seni ormai freddi da troppo tempo: così non
poteva più andare avanti. Come sapesse che le sue risorse erano
finite insieme alle speranze che lui cambiasse, non le era
razionalmente chiaro, semplicemente comprese che dal momento che lui
non cambiava a cambiare doveva essere lei. Scese in strada ma
stavolta con un paio di valigie e senza reggiseno, e le sembrò di
respirare per la prima volta. L'auto l'accolse nei suoi interni e lo
sblocco dell'antifurto le sembrò un cinguettio primaverile e non il
suono stridulo che fino a quel giorno sembrava dirle non hai scampo
ora ti porto in ufficio ma è in questa casa con lui che tornerai
stasera.
Altrettante primavere
sembravano fiorirle intorno mentre si dirigeva verso se stessa e
all'aeroporto.
Il notiziario
raccontava di folle in rivolta nel mondo, di primavere arancioni, di
masse oppresse che erano pronte a morire per quello per cui aveva
rischiato di morire anche lei: un cambiamento..”
Quando cambiamo davvero?
Non lo facciamo quando ce
lo dicono, anzi temendo che vogliano solo “adattarci”, ci
rifugiamo nelle nostre misere routine, nelle sicurezze, nel controllo
totale o nel nostro caos, talvolta giustificandoci con l'infantile
asserzione: sono fatto così. Non lo facciamo neanche quando i fatti
dimostrano che non ha funzionato, che il chiodo non regge il quadro e
quando il quadro è visibilmente andato in frantumi sul pavimento,
pestiamo rabbiosi il chiodo “colpevole” della nostra debolezza.
Non lo facciamo nemmeno quando abbiamo speranza poiché essa ci
costringe ad attendere.
Quando allora? Cambiamo
solo se comprendiamo come pensiamo alle cose e alle persone, per
primi a noi. I popoli non si rivoltano quando sono delusi o confusi
ma quando hanno chiaro in mente che il governo gli appartiene che è
loro di diritto e loro deve servire, così come le donne ci lasciano
quando hanno la forza di non delegare più a noi la propria felicità
e maturano il desiderio di condividerla con qualcun altro, sapendo
quindi di doversela prima conquistare personalmente.
La nostra epoca sembra la
più ricca di cambiamenti ma è davvero così o piuttosto è l'epoca
in cui parlarne è diventato il “surrogato” più accettabile?
“Siamo pieni di
chiacchiere con la pancia piena e la luna a metà...”dice una
canzone appena uscita e non posso fare a meno di considerare
l'immenso contenuto di queste semplici parole, alla luce di ogni
cronaca politica, di ogni celebrato successo cinematografico o
affermazione di successo personale. Parliamo fino allo sfinimento di
cambiamenti e necessità di “riforme” ma la sensazione è che si
lotti affinché questo accada il meno possibile. In parte perché il
cambiamento prevede una nuova direzione, sradica abitudini, ci
costringe per sua natura a tracciare un nuovo solco in noi e nella
storia che tutti ci riguarderà, in parte perché somiglia alla
verità: non può lasciarci esattamente come ci trova ne garantirci
nulla.
Per tale ragione
sembriamo volere il cambiamento ma invero lo temiamo maggiormente
rispetto a ciò a cui siamo abituati a far fronte. Una luna a metà
ci sembra contenere più misteri possibili di una luna piena i cui
confini ben delineati tracciano un limite certo. Eppure la gente
cambia in continuazione casa lavoro relazioni e pensieri, almeno così
dice di fare, mentre la sensazione è quella di assistere a bruschi
colpi di timone dati alla propria nave solo per insoddisfazione.
Un altra caratteristica
del vero cambiamento sembra essere l'accettazione di un rischio, la
rinuncia alla garanzia di successo col minimo sforzo e la
preparazione al biasimo riservato a coloro che “osano” rompere
uno schema fino a quel momento tanto caro a tutti.
“
Quante volte le
aveano detto amiche e parenti: non ti manca nulla fai una bella vita
con lui, vuoi davvero rinunciare a tutto ciò che ti sei costruita? E
ancora: lo so che non è perfetto ma guarda il lato positivo...
Lei, dal canto suo
sapeva quante di loro avrebbero digerito sassi per vivere la vita di
cui lei non sapeva più che farne e quante non aspettassero altro che
“prenderle” il posto..quando le dicevano: fai bene a lasciarlo
non è l'uomo per te..sottintendendo che lo era per loro. La verità
era che quell'uomo non aveva di sbagliato niente di più di qualunque
altro poteva incontrare da quel momento in poi, semplicemente ciò
che avevano fatto insieme non era che un cumulo di cose materiali, di
simboli riconoscibili di un successo destinato ad altri, ma che
l'aveva svuotata di senso.
Era certa che neanche
lui provasse più molto insieme, ma sapeva che non avrebbe mai
rinunciato all'immagine di sé che la loro apparenza perfetta gli
garantiva.
Si ricordò di come da
ragazzina era felice nel giardino della casa paterna e come
rivedendosi si accorse che intorno a lei, in quel momento di pura
gioia, non c'era altro che il muso festoso del suo cane”.
Un cambiamento non può
germogliare in un cuore vuoto, ecco perché molte persone che virano
bruscamente nella vita non trovano altro che il proprio vuoto. Sono
concentrate maggiormente su ciò che non ricevono o non riescono a
strappare a qualcuno nell'esatto modo in cui lo hanno immaginato,
come tanto meno può essere autentico se spinto da un cuore pieno di
rabbia poiché questo in realtà esige vendetta e quindi ci mantiene
in relazione con coloro che diciamo di “lasciare”. Si cambia
quando si dismette il giudizio verso se stessi e gli altri quando
invece di star fermi ad arrovellarsi o a impegnarsi a cambiare
l'altro ci accorgiamo di un punto fulgido di luce la in fondo e
allora il buco rassicurante in cui ci eravamo cacciati si svela in
tutta la sua cupa tenebra e attratti da quella minuscola luce ci
dirigiamo verso di essa senza alcuna sicurezza ma più consapevoli di
ciò che lasciamo, sia questo un comportamento, una persona, una vita
intera.
Il cambiamento vero offre
un viaggio verso se stessi ma senza la chiara idea di come saremo una
volta giunti a “casa” ecco perché chiunque dica di cambiare
identificando troppo precisamente come sarà, con chi, e come starà
mente a se stesso.
Il viaggio le era
sembrato lunghissimo ma in realtà le ci erano volute poche ore di
volo per raggiungere la casa dove era cresciuta. Il suo cellulare era
intasato di messaggi di amiche ma soprattutto di lui. Mentre scorreva
le righe di testo si rese conto di come i toni passassero dalla
supplica al rimprovero aspro fino alla minaccia e sorridendo come mai
prima si felicitò con se stessa per aver scelto l'aereo invece di un
pullman dal quale avrebbe potuto scendere.
Scrisse una sola riga
di testo prima di premere invio: me ne sono andata e tu non puoi
farci niente perché niente è ciò che ho lasciato.
Il cambiamento genera una rottura definitiva di schemi quotidiani
obbligandoci a nuovi percorsi, ad una differente gestione del tempo,
ad una concezione di rumori e silenzi da interpretare con strumenti
ancora poco rodati dall'abitudine. Per tale motivo la sensazione che
si prova quando si cambia davvero non ha niente a che vedere con
l'euforia o l'immediata piacevolezza, piuttosto ha un effetto simile
a quello che il fuso orario ha sul corpo: ci rende apparentemente
fuori tempo.
Può capitare di trovarsi in mezzo a scatoloni da fare o da svuotare
con nessuna forza per farlo o anche di guardarsi attorno e provare
una vertigine simile a quella che si prova sul ciglio di un dirupo.
In questo caos apparente ci offre però l'opportunità di fare
esattamente come vogliamo di non rispondere a nessuna tabella di
marcia razionale, di scegliere se rispondere al bisogno di
“sistemarsi” o rimandarlo per godersene la conquista.
Si scopre in quei momenti il lusso di un dialogo interiore che
all'inizio può ancora avere la voce di qualcun altro e il tono aspro
con cui ci si redarguiva o si veniva redarguiti dalla ribellione al
dovere ma che man mano lascia posto alla scoperta del suono della
propria voce e addirittura alla possibilità di dare alla propria
voce un tono dolce e nuovo..Vi sembra la descrizione di una perdita
di senno? Può darsi che il cambiamento gli somigli.
Ecco perché nonostante le persone parlino di cambiamento in
continuazione o vantino la facilità con cui lo praticano, in realtà
più facilmente non abbiano ancora cominciato davvero a farlo. A
nessuno piace sembrare un matto. La facilità con cui l'ottusità è
stata scambiata per determinazione ha reso difficile individuare la
predisposizione al cambiamento, che a mio avviso non determina ma
rischia in virtù di una sensazione nuova e non c'è niente di
davvero nuovo che possiamo definire in anticipo.
Dopo
qualche mese di lavoro in cui si era immersa, la casa era pulita e di
nuovo funzionale ma soprattutto il giardino era pronto alla sua nuova
funzione. Si accorse in quel tempo folle di come le persone dalle
quali si era staccata anche brutalmente fossero tornate alle proprie
abitudini liquidandola probabilmente come una deficiente che era
meglio perdere che trovare. Non sentiva di dover loro alcuna
spiegazione e con le mani sporche di terra fresca e concimata a
dovere si faceva beffe tra sé delle loro manicure impeccabili, le
stesse che anche lei aveva quando le sue mani non servivano a niente.
Se
avesse saputo quanto poco chi dice di volerci bene lotta per sapere
come stiamo davvero quando non ci facciamo più vivi avrebbe avuto
meno paura di ferirle, le sue amiche di un tempo, come ne aveva avuto
quel giorno quando con la valigia era uscita dall'appartamento di lui
per non tornare più senza dirglielo.
In
quanto a lui, si era guardata bene dal sapere cosa facesse o chi
vedesse come sapeva avrebbe fatto se avesse semplicemente traslocato
col conforto delle sue “amiche” e della città in cui avevano
vissuto insieme e anche lui dopo gli accenti iniziali smise di farsi
sentire come tutti gli altri. Erano le dodici e mezzo: l'ora della
pappa per i dodici Golden Retriver che ospitava in pensionato. Col
sole sul viso si godette la vista di quei musi felici che le venivano
incontro e dietro il pero, le sembrò che il suo aiutante, un uomo in
pensione che era cresciuto li e col quale aveva giocato da piccola,
la guardasse con una dolcezza di cui non si era accorta prima”.
Facendo ciò che vogliamo davvero fare, ridimensionando bisogni e
aspettative, ma rinunciando a definirne i contorni, ci si rende
disponibili alla vita e al suo fluire attraverso noi, si cambia anche
radicalmente o non per forza ma si ridiscute tutto di noi e una
buona volta si smette di farlo con gli altri. Si diventa più
responsabili della propria idea di felicità e meno bisognosi di
qualcuno che la realizzi perché nonostante possa essere molto
diverso da come eravamo abituati a vederlo, quel qualcuno siamo noi e
un nuovo noi potrà anche portarci dei nuovi “altri”.Qualora non
fosse, cosa che è quasi impossibile sarebbe di certo più lieto
incontrarsi allo specchio.