Svolte e risvolti

Da Stanford @stanfordissimo
Ci pensava su da giorni e quel pensiero la costringeva più del reggiseno in cui ogni mattina rinchiudeva i seni ormai freddi da troppo tempo: così non poteva più andare avanti. Come sapesse che le sue risorse erano finite insieme alle speranze che lui cambiasse, non le era razionalmente chiaro, semplicemente comprese che dal momento che lui non cambiava a cambiare doveva essere lei. Scese in strada ma stavolta con un paio di valigie e senza reggiseno, e le sembrò di respirare per la prima volta. L'auto l'accolse nei suoi interni e lo sblocco dell'antifurto le sembrò un cinguettio primaverile e non il suono stridulo che fino a quel giorno sembrava dirle non hai scampo ora ti porto in ufficio ma è in questa casa con lui che tornerai stasera. Altrettante primavere sembravano fiorirle intorno mentre si dirigeva verso se stessa e all'aeroporto. Il notiziario raccontava di folle in rivolta nel mondo, di primavere arancioni, di masse oppresse che erano pronte a morire per quello per cui aveva rischiato di morire anche lei: un cambiamento..” Quando cambiamo davvero? Non lo facciamo quando ce lo dicono, anzi temendo che vogliano solo “adattarci”, ci rifugiamo nelle nostre misere routine, nelle sicurezze, nel controllo totale o nel nostro caos, talvolta giustificandoci con l'infantile asserzione: sono fatto così. Non lo facciamo neanche quando i fatti dimostrano che non ha funzionato, che il chiodo non regge il quadro e quando il quadro è visibilmente andato in frantumi sul pavimento, pestiamo rabbiosi il chiodo “colpevole” della nostra debolezza. Non lo facciamo nemmeno quando abbiamo speranza poiché essa ci costringe ad attendere. Quando allora? Cambiamo solo se comprendiamo come pensiamo alle cose e alle persone, per primi a noi. I popoli non si rivoltano quando sono delusi o confusi ma quando hanno chiaro in mente che il governo gli appartiene che è loro di diritto e loro deve servire, così come le donne ci lasciano quando hanno la forza di non delegare più a noi la propria felicità e maturano il desiderio di condividerla con qualcun altro, sapendo quindi di doversela prima conquistare personalmente. La nostra epoca sembra la più ricca di cambiamenti ma è davvero così o piuttosto è l'epoca in cui parlarne è diventato il “surrogato” più accettabile? “Siamo pieni di chiacchiere con la pancia piena e la luna a metà...”dice una canzone appena uscita e non posso fare a meno di considerare l'immenso contenuto di queste semplici parole, alla luce di ogni cronaca politica, di ogni celebrato successo cinematografico o affermazione di successo personale. Parliamo fino allo sfinimento di cambiamenti e necessità di “riforme” ma la sensazione è che si lotti affinché questo accada il meno possibile. In parte perché il cambiamento prevede una nuova direzione, sradica abitudini, ci costringe per sua natura a tracciare un nuovo solco in noi e nella storia che tutti ci riguarderà, in parte perché somiglia alla verità: non può lasciarci esattamente come ci trova ne garantirci nulla. Per tale ragione sembriamo volere il cambiamento ma invero lo temiamo maggiormente rispetto a ciò a cui siamo abituati a far fronte. Una luna a metà ci sembra contenere più misteri possibili di una luna piena i cui confini ben delineati tracciano un limite certo. Eppure la gente cambia in continuazione casa lavoro relazioni e pensieri, almeno così dice di fare, mentre la sensazione è quella di assistere a bruschi colpi di timone dati alla propria nave solo per insoddisfazione. Un altra caratteristica del vero cambiamento sembra essere l'accettazione di un rischio, la rinuncia alla garanzia di successo col minimo sforzo e la preparazione al biasimo riservato a coloro che “osano” rompere uno schema fino a quel momento tanto caro a tutti. “Quante volte le aveano detto amiche e parenti: non ti manca nulla fai una bella vita con lui, vuoi davvero rinunciare a tutto ciò che ti sei costruita? E ancora: lo so che non è perfetto ma guarda il lato positivo... Lei, dal canto suo sapeva quante di loro avrebbero digerito sassi per vivere la vita di cui lei non sapeva più che farne e quante non aspettassero altro che “prenderle” il posto..quando le dicevano: fai bene a lasciarlo non è l'uomo per te..sottintendendo che lo era per loro. La verità era che quell'uomo non aveva di sbagliato niente di più di qualunque altro poteva incontrare da quel momento in poi, semplicemente ciò che avevano fatto insieme non era che un cumulo di cose materiali, di simboli riconoscibili di un successo destinato ad altri, ma che l'aveva svuotata di senso. Era certa che neanche lui provasse più molto insieme, ma sapeva che non avrebbe mai rinunciato all'immagine di sé che la loro apparenza perfetta gli garantiva. Si ricordò di come da ragazzina era felice nel giardino della casa paterna e come rivedendosi si accorse che intorno a lei, in quel momento di pura gioia, non c'era altro che il muso festoso del suo cane”. Un cambiamento non può germogliare in un cuore vuoto, ecco perché molte persone che virano bruscamente nella vita non trovano altro che il proprio vuoto. Sono concentrate maggiormente su ciò che non ricevono o non riescono a strappare a qualcuno nell'esatto modo in cui lo hanno immaginato, come tanto meno può essere autentico se spinto da un cuore pieno di rabbia poiché questo in realtà esige vendetta e quindi ci mantiene in relazione con coloro che diciamo di “lasciare”. Si cambia quando si dismette il giudizio verso se stessi e gli altri quando invece di star fermi ad arrovellarsi o a impegnarsi a cambiare l'altro ci accorgiamo di un punto fulgido di luce la in fondo e allora il buco rassicurante in cui ci eravamo cacciati si svela in tutta la sua cupa tenebra e attratti da quella minuscola luce ci dirigiamo verso di essa senza alcuna sicurezza ma più consapevoli di ciò che lasciamo, sia questo un comportamento, una persona, una vita intera. Il cambiamento vero offre un viaggio verso se stessi ma senza la chiara idea di come saremo una volta giunti a “casa” ecco perché chiunque dica di cambiare identificando troppo precisamente come sarà, con chi, e come starà mente a se stesso. Il viaggio le era sembrato lunghissimo ma in realtà le ci erano volute poche ore di volo per raggiungere la casa dove era cresciuta. Il suo cellulare era intasato di messaggi di amiche ma soprattutto di lui. Mentre scorreva le righe di testo si rese conto di come i toni passassero dalla supplica al rimprovero aspro fino alla minaccia e sorridendo come mai prima si felicitò con se stessa per aver scelto l'aereo invece di un pullman dal quale avrebbe potuto scendere. Scrisse una sola riga di testo prima di premere invio: me ne sono andata e tu non puoi farci niente perché niente è ciò che ho lasciato. Il cambiamento genera una rottura definitiva di schemi quotidiani obbligandoci a nuovi percorsi, ad una differente gestione del tempo, ad una concezione di rumori e silenzi da interpretare con strumenti ancora poco rodati dall'abitudine. Per tale motivo la sensazione che si prova quando si cambia davvero non ha niente a che vedere con l'euforia o l'immediata piacevolezza, piuttosto ha un effetto simile a quello che il fuso orario ha sul corpo: ci rende apparentemente fuori tempo. Può capitare di trovarsi in mezzo a scatoloni da fare o da svuotare con nessuna forza per farlo o anche di guardarsi attorno e provare una vertigine simile a quella che si prova sul ciglio di un dirupo. In questo caos apparente ci offre però l'opportunità di fare esattamente come vogliamo di non rispondere a nessuna tabella di marcia razionale, di scegliere se rispondere al bisogno di “sistemarsi” o rimandarlo per godersene la conquista. Si scopre in quei momenti il lusso di un dialogo interiore che all'inizio può ancora avere la voce di qualcun altro e il tono aspro con cui ci si redarguiva o si veniva redarguiti dalla ribellione al dovere ma che man mano lascia posto alla scoperta del suono della propria voce e addirittura alla possibilità di dare alla propria voce un tono dolce e nuovo..Vi sembra la descrizione di una perdita di senno? Può darsi che il cambiamento gli somigli. Ecco perché nonostante le persone parlino di cambiamento in continuazione o vantino la facilità con cui lo praticano, in realtà più facilmente non abbiano ancora cominciato davvero a farlo. A nessuno piace sembrare un matto. La facilità con cui l'ottusità è stata scambiata per determinazione ha reso difficile individuare la predisposizione al cambiamento, che a mio avviso non determina ma rischia in virtù di una sensazione nuova e non c'è niente di davvero nuovo che possiamo definire in anticipo. Dopo qualche mese di lavoro in cui si era immersa, la casa era pulita e di nuovo funzionale ma soprattutto il giardino era pronto alla sua nuova funzione. Si accorse in quel tempo folle di come le persone dalle quali si era staccata anche brutalmente fossero tornate alle proprie abitudini liquidandola probabilmente come una deficiente che era meglio perdere che trovare. Non sentiva di dover loro alcuna spiegazione e con le mani sporche di terra fresca e concimata a dovere si faceva beffe tra sé delle loro manicure impeccabili, le stesse che anche lei aveva quando le sue mani non servivano a niente. Se avesse saputo quanto poco chi dice di volerci bene lotta per sapere come stiamo davvero quando non ci facciamo più vivi avrebbe avuto meno paura di ferirle, le sue amiche di un tempo, come ne aveva avuto quel giorno quando con la valigia era uscita dall'appartamento di lui per non tornare più senza dirglielo. In quanto a lui, si era guardata bene dal sapere cosa facesse o chi vedesse come sapeva avrebbe fatto se avesse semplicemente traslocato col conforto delle sue “amiche” e della città in cui avevano vissuto insieme e anche lui dopo gli accenti iniziali smise di farsi sentire come tutti gli altri. Erano le dodici e mezzo: l'ora della pappa per i dodici Golden Retriver che ospitava in pensionato. Col sole sul viso si godette la vista di quei musi felici che le venivano incontro e dietro il pero, le sembrò che il suo aiutante, un uomo in pensione che era cresciuto li e col quale aveva giocato da piccola, la guardasse con una dolcezza di cui non si era accorta prima”. Facendo ciò che vogliamo davvero fare, ridimensionando bisogni e aspettative, ma rinunciando a definirne i contorni, ci si rende disponibili alla vita e al suo fluire attraverso noi, si cambia anche radicalmente o non per forza ma si ridiscute tutto di noi e una buona volta si smette di farlo con gli altri. Si diventa più responsabili della propria idea di felicità e meno bisognosi di qualcuno che la realizzi perché nonostante possa essere molto diverso da come eravamo abituati a vederlo, quel qualcuno siamo noi e un nuovo noi potrà anche portarci dei nuovi “altri”.Qualora non fosse, cosa che è quasi impossibile sarebbe di certo più lieto incontrarsi allo specchio.