Ridotti a molto meno che a espressione geografica conviene pensare che Lampedusa – dove convivono, in alcuni mesi dell’anno, i corpi ben oliati dei turisti e quelli nudi dei profughi, la loro presenza spettrale di invisibili, confinati nel centro di accoglienza, insieme a quella dei villeggianti, dove la morte rimossa si scontra con la spensieratezza, i racchettoni, i gommoni restituiti alle gite – sia l’ultimo baluardo a difesa dell’Occidente dalle incursioni dei barbari, disperati quanto minacciosi.
È una tesi che si addice ai nostri governanti che con il sacrificio di chi arriva, grazie alla morte di centinaia di uomini che premono ai confini acquatici, in virtù della mobilitazione degli abitanti, si persuadono di essere ammessi al tavolo dei grandi, tanto da reclamare aiuto e responsabilità condivise. Non è così, per l’Europa non siamo un argine vulnerabile, non siamo un bastione fragile, noi come loro contro gli altri. Al contrario, siamo la propaggine dell’inquietante e pericolosa Africa, il Sud inadempiente, cialtrone, bestiale, malavitoso rispetto al nord ordinato, regolare, pingue, biondo e affidabile.
E dire che pigs o no, abbiamo partecipato a pari merito alle spartizioni, c’eravamo quando con Gran Bretagna, Francia, confortati dall’Onu, sponsorizzati dalla Nato, ci si sbarazzò dall’imbarazzante Gheddafi, ci siamo quando servono trampolini per missili, hangar per aerei, quando si devono punire esemplarmente ex amici e famigli, diventati riprovevoli tiranni e satrapi da isolare e zittire.
Da geografia da depredare, da terreno di scorrerie rapaci, l’Africa si rivela per l’Occidente un complicato campo di battaglia, che impone di schierarsi seguendo l’odore dei soldi e delle armi, centellinando aiuti arbitrariamente, rimuovendo il problema dei civili, dei fuggiaschi, delle vittime, ché i morti sotto le bombe, i bambini martoriati – che sono poi quelli delle adozioni a distanza, quelli che hanno popolato spot e denunce, quelli in cerca di rifugio – diventano una problematica contabilità, preoccupante ingombro e potenziale merce di scambio e di infame contrattazione.
Le primavere arabe, le guerre sempre incivili e i loro occulti burattinai, sono diventate un rischio per il brand coloniale, che cambia faccia, ma è sempre bianco e spietato, sono una bomba che, esplodendo, dissemina inesauribilmente nuovi disperati, altri fuggiaschi: emigranti, gente che sfugge ai disastri ambientali, alla siccità, alla fame, alle bombe, ai gas non meglio identificati, perchè i motivi per lasciare i propri luoghi, i propri cari, i propri ricordi e trasformarsi in invisibili, impauriti ma che mettono paura, sono sempre gli stessi e qualcuno anche nuovo, proprio come le guerre, proprio come i tanti tiranni impuniti e redimibili, pronti a esili dorati e accoglienze generose.
È un continente dove anche i paesi cui l’Occidente guarda come a potenziali partner, quelli che contendono alle tigri asiatiche i primi posti nell’aumento mondiale del Pil, sono realtà labili, esposti come sono a quello stato di belligeranza perenne, che si addice a un sistema globale – mercato, finanza, mafie – e che preferisce instabilità da gestire, incertezza da usare, subalternità da sfruttare.
E figurarsi se è credibile la governance europea tanto reclamata da un’Italia anch’essa subalterna, da uno Stato sul quale pesa la colpa di una legge razziale e xenofoba che rende impossibile l’ingresso legale in Italia, così il sistema dei flussi per lavoro, dei ricongiungimenti, delle restrizioni nel rilascio dei visti, promuove l’illegalità, il commercio delle vite.
Si l’Europa ci sanziona per questa infamia, eppure non è così distante dal pensiero e dall’ideologia che rappresenta ormai l’unico collante di un’area regionale disunita, discorde, disarmonica. Il razzismo osceno, sgangherato, ignorante e grossolano dei partiti che hanno voluto questa macchia sulla nostra democrazia e sulla nostra onorabilità, quello in giacca e cravatta dei partner che l’hanno permesso e che oggi si esercitano nelle loro vergognose acrobazie per mantenerla, magari con qualche ipocrita correttivo, quelli che vogliono svuotare con amnistia e indulto le carceri dove si assiepano presunti colpevoli solo di essere “stranieri”, per liberare rei certi innocenti per nazionalità, sono gli stessi che vogliono stravolgere e cancellare i capisaldi della nostra Costituzione, quella Carta che per ben due volte richiama coscienze, istituzioni e popolo sulla inalienabilità del diritto d’asilo.
Loro, l’Europa, sono mossi dallo stesso istinto, estrarre il lavoro dal contesto delle regole, della legalità e delle garanzie per sancire il tempo dell’economia informale e illegittima, e sottrarre gli uomini dal contesto dei diritti, della dignità, per farne vite nude, senza nome, senza riconoscimento, da spostare secondo esodi a un tempo barbari e moderni.
Per questo bisogna battersi per l’abrogazione dell’infamia, anche il 12 ottobre, che la battaglia poi è la stessa ed è nostra.