Carl Jung disse che una donna particolarmente bella è una fonte di terrore, e probabilmente mentre lo diceva una qualche disturbata eco cavalcantiana arrivava ancora alle sue orecchie. Ma Jung aggiunse che una donna bellissima è una terribile delusione. Ciò che in altre parole egli sosteneva era che l’uomo, di fronte a una donna molto bella, ha, prima di tutto, paura, perché la vede come un obiettivo irrealizzabile, fuori dalla sua portata, ma dopo averla conosciuta egli rimane deluso. Deluso perché scopre che quella donna meravigliosa non è così perfetta come immaginava.
Sfortunatamente il fato non è stato con me abbastanza generoso da farmi conoscere Sylvia Plath, poetessa e scrittrice statunitense, perché forse sarebbe stata in grado di sfatare le parole pronunciate da Jung. Donna dalla bellezza pura e fragile, oltre al suo corpo meraviglioso, meravigliosa fu anche la sua anima. È quella donna che, mi imbarazzo a dirlo, rimpiango di non aver mai incontrato.
Un aggettivo capace di descriverla alla perfezione è sicuramente complicata, un altro è fragile. Era infatti una donna con una testa piena di pensieri, concetti, idee, paure, timori che si accumulavano gli uni sugli altri fino a rischiare di scoppiare. E il rischio divenne realtà la notte tra il 10 e l’11 febbraio del 1963, quando Sylvia, a soli 30 anni, sigillò con lo scotch ogni fessura della cucina nella quale si era chiusa, posò la testa all’interno del forno e aprì il gas. Ma Sylvia aveva in precedenza sigillato la camera dei suoi bambini affinché il gas non arrivasse fin lì, e lasciato accanto ai loro lettini il latte e il pane con il burro per la colazione.
Fu un atto folle ma al tempo stesso meditato e razionale. Fu un gesto di arroganza ma al tempo stesso di altruismo. Fu una dichiarazione non di odio nei confronti della vita, ma di maggior preferenza per la morte.
Amo Sylvia Plath e amo le sue poesie, come quella che vi voglio proporre, che io ritengo semplice, pura e sconvolgente al tempo stesso. Ma prima di ulteriori commenti, ve la faccio leggere. Qui troverete la traduzione in italiano.
I Am Vertical
But I would rather be horizontal.
I am not a tree with my root in the soil
Sucking up minerals and motherly love
So that each March I may gleam into leaf,
Nor am I the beauty of a garden bed
Attracting my share of Ahs and spectacularly painted,
Unknowing I must soon unpetal.
Compared with me, a tree is immortal
And a flower-head not tall, but more startling,
And I want the one’s longevity and the other’s daring.
Tonight, in the infinitesimal light of the stars,
The trees and the flowers have been strewing their cool odors.
I walk among them, but none of them are noticing.
Sometimes I think that when I am sleeping
I must most perfectly resemble them–
Thoughts gone dim.
It is more natural to me, lying down.
Then the sky and I are in open conversation,
And I shall be useful when I lie down finally:
Then the trees may touch me for once, and the flowers have time for me.
Ora forse riuscite a capire perché ho detto che non odia la vita ma preferisce la morte. La morte come gesto di umiltà, nulla più. C’è forse qualcosa di malato in Sylvia nel comprendere che il mondo non è un posto adatto per lei? Che forse solo la morte può finalmente farla sentire a suo agio, può finalmente farla diventare un umile e fragile frammento di universo in pace e in armonia con tutto il resto? Insomma, c’è un qualcosa di malato nel credere che solo la morte può e deve essere la risposta? Forse sì, ma sicuramente c’è anche un fondo di perversa saggezza. Io non riterrò mai il suicidio una risposta valida, perché la vita è sacra sempre e comunque, ma rimango ogni volta esterrefatto e interdetto di fronte a queste sue parole perché io no, io non sono capace di arrivare a tanto. È una diversa forma di perfezione, è qualche cosa che va oltre la banalità della vita e che va oltre l’oblio della morte. È la perfezione dell’essenza.
O almeno così a me pare.
Jean