Synecdoche, new york
Creato il 01 luglio 2014 da Veripaccheri
Synecdoche, New York
di Charlie Kaufman
con PS Hoffman, Catherine Keener, Michelle Williams, Samantha Morton, Jennifer Jason Leigh, Hope Davis
Usa, 2008
genere, drammatico
durata, 124'
Gente come Charles Buckowski e Louis Ferdinand Celine affermava che non
si potesse scrivere d'altro che della propria esistenza. L'arte come
monumento o epitaffio della vita era l'unico assioma da cui non si doveva prescindere se si voleva cogliere una parvenza di verità. Un altro
scrittore, questa volta prestato al cinema anzichè alla
letteratura, ribadisce lo stesso concetto. Stiamo parlando di Charlie
Kaufman, sceneggiatore e ora anche regista di un film, "Synecdoche, New
York", che vuole essere, al di là del contingente, rappresentato dalla
storia di un autore teatrale in crisi esistenziale e lavorativa, il
consuntivo di una carriera ancora in corso ma arrivata certamente a un
bivio. Perchè se il punto è quello di un'arte che aspira a cogliere
l'essenza delle cose e degli uomini, e che per questo è pronta a
rinunciare alle lusinge di un successo succhiato dal genio di altri -
come fa inizialmente Caden Cotard, portando in scena "Morte di un commesso
viaggitatore" di Arthur Miller- per gettarsi nelle acque di un terreno
inesplorato e nudo - che "Synecdoche, New York" rappresenta attraverso
l'opera definitiva che Cotard intende scrivere prima di morire- allora
non c'è altra strada che mettere in scena i fantasmi della propria
esistenza. Ecco allora succedersi sullo schermo alcuni dei topos
stilistici e poetici del nostro: dall'assoluto pessimismo nei confronti dei rapporti umani alla presenza di una
componente personale, eloquente nella coincidenze tra l'autore e il
protagonista della storia, come Kaufman scrittore e regista, e
nelle discussioni intorno ai limiti dell'arte scritta, già presenti
nelle nevrosi del Cage/Kaufman di "Il ladro di Orchidee". Ma non solo,
perchè la frammentazione dell'io scaturita dal tentativo di fare ordine
al caos del mondo che Cotard cerca di domare costringendolo all'interno
di un teatro di posa che assomiglia al ventre della balena (ancora una
volta un riferimento autobiografico) finisce per far esplodere il tempo e
lo spazio di una vicenda che trova la sua coerenza narrativa nel fatto
di essere in parte frutto delle proiezione mentali del protagonista.
Come spesso accade nei film scritti da Kaufman ("Nella mente di John
Malkovich" e "Se mi lasci ti cancello").
Da qui lo sfasamento temporale di un intreccio che anticipa avvenimenti
poi ripresi nelle prove della rappresentazione teatrale messa in scena
da Cotard, oppure il continuo gioco di specchi che ridistribuisce il
medesimo ruolo ad attori diversi, arrivando ad assegnare ad una
donna quello che dovrebbe essere il ruolo centrale del piece, quella
del drammaturgo che non riesce a trovare la chiave di volta per mettere
in scena la sua opera.
In perenne sfida con se stesso e con il mondo, Kaufman sceglie la sfida più difficile, cercando l'assoluto attraverso la
creazione di un'opera omnicomprensiva. Un'utopia destinata al fallimento che "Sydecdoche, New York" lascia presagire sin dalla prima sequenza, con Cotard che fa colazione immerso in un'atmosfera resa lugubre da
bollettini di morte annunciate da radio e televisione, e dai primi sintomi di una patologia, vera o presunta, che progredirà di pari passo con la stesura dell'opera; per non dire dell'ambiente che fa da sfondo
alla storia, in perenne disfacimento, con muri scrostati, carta da
parati strappate e ambienti ai limiti del vivibile ( come quello di Hazel, l'amante di Cotard, perennemente in fiamme) che sembrano la
materializzazione di una malattia arrivata allo stato terminale. In
quadro siffatto, e senza la mediazione dei registi a cui in precendenza
Kaufman aveva affidato i suoi script, "Synecdoche, New York" non
potrebbe essere diverso da quello che è: un'opera mastodonditica e
logorroica che ha il fascino delle imprese impossibili ma al tempo
stesso la mancanza di misura dell'Ego che l'ha concepita.
Intepretato da un cast di star del cinema indie, "Synecdoche" per una
coincidenza del caso che ha visto il film distribuito in Italia con anni
di ritardo rispetto alla sua uscita americana può essere considerato il
testamento d'attore di Philip Seymour Hoffman, non tanto per la qualità
della performance (quella di "The Master, rimane a tutt'oggi il culmine
inarrivabile) ma piuttosto per l'occupazione dello spazio scenico che
in corpo di Hoffman interpreta con un disagio che
sembra anticiparne la tragica fine.
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